Sapori africani
Gennaio 25, 2004 in il Traspiratore da Redazione
Gli onori perduti – Calixte Beyala – Casa Editrice Epoché – pp. 366 – Euro 15,00
I lettori che hanno scoperto la scrittura di Calixthe Beyala attraverso “Gli onori perduti”, il primo dei suoi libri tradotti in italiano dalla casa editrice Epoché, già sanno quanto profumi, suoni e gusti siano presenti nelle sue pagine. Sono i colori, gli aromi e i sapori tipici dell’Africa, ben conservati anche quando l’Africa diventa soltanto ricordo della terra d’origine.
“Come ti cucino il marito all’africana”, che Epoché porterà nelle librerie in primavera, nella brillante traduzione di Gaia Amaducci, farà sicuramente venire l’acquolina in bocca a chi lo leggerà. Ma l’assaggio che Calixthe offre in “Gli onori perduti” è un antipasto sontuoso. Provate a rimanere indifferenti davanti al racconto dei mitici, vivacissimi, rutilanti pranzi/ricevimenti che contrassegnano gli eventi fondamentali della vita di Saida Bénérafa, la suo-mal-grado vergine, protagonista del romanzo di Calixthe: impossibile.
Il primo banchetto ha come sfondo Cous-cous Ville (già il nome è tutto un programma) e coinvolge tutto il villaggio camerunese dove Saida, ma anche Calixthe, sono nate: un mega-pranzo dove si cuoce montone a volontà (e dove “lo si moltiplica, come fece Cristo, tagliandolo a cubetti”) e dove birra e vino di palma scorrono a fiumi. E’ pur vero che, a priori, non tutti avremmo voglia di assaggiare il montone cotto con pomodoro e arachidi e servito in un grande catino con venticinque litri di salsa che, con cous cous di mais e banane verdi, rappresenta il piatto forte delle festa, ma la scena è raccontata così bene che ci sembra di averlo fatto… Insomma, come in tutto il libro, Calixthe Beyala ci trascina in vicende, situazioni, ambienti non propriamente del nostro quotidiano, ma che finiscono per diventarlo, esattamente come accade negli inviti a pranzi in cui assaggiamo perplessi pietanze sconosciute, delle quali poi ci entusiasmiamo.
Il secondo banchetto che Calixthe Beyala ci racconta ha luogo, meno esoticamente, a Parigi, ma nella Parigi comunque africana di Belleville, dove appunto si svolge la seconda parte del romanzo. Un pranzo di Capodanno a cui è invitato un nutrito gruppo di intellettuali africani. Inizia con il rito della spesa in un mercato multiculturale dove ormai l’idea di prodotto esotico è svanita e tutto- basta pagare- è a disposizione. Il cibo- in questo caso frittelle di gamberetti con salsa al peperoncino, ndolé con pesce secco, polentina molle di manioca, dolci allo zenzero coperti di cocco in polvere- diventa, come spesso accade, una panacea del sentirsi a casa, un viatico per rafforzare e difendere la propria identità. Tutto il capitolo è un gioiellino di scrittura, giocato sui ritmi della confusione, dell’allegria, della festosità che tutti sappiamo obbligatorie nei giorni di festa per coprire malinconia, tristezza e fatiche di fondo. Registro, per altro, fondamentale in tutto il romanzo. Che, tornando al tema culinario, alla fine ci lascia in bocca uno straordinario e indimenticabile gusto dolce-amaro.
di D. Rosso