Marguerite

Gennaio 5, 2008 in Racconti da Redazione

AlbaMarguerite si alza tutte le mattine. Verso le sei o giù di lì. Non le pesa, anzi. Marguerite è contenta di alzarsi tutte le mattine, verso le sei o giù di lì. È contenta anche se non può farne a meno.

Marguerite è dipendente da albe. Hanno per lei l’effetto di una scarica elettrica, supremo attimo di piacere a contorcere cuore e reni. Non ricorda da quando. Né perché. Tutte le mattine, verso le sei o giù di lì, Marguerite chiude gli occhi e si affaccia alla piccola finestrella della piccola camera che da sul piccolo parco. E aspetta, in silenzio. Aspetta che tutto le si riveli, nuovo e diverso, come ogni giorno.

Tutti i giorni, verso le sei o giù di lì, Marguerite apre gli occhi un attimo prima che l’aurora illumini il suo volto, rinnovando quel rapporto quasi simbiotico.

Ha gli occhi neri come il petrolio Marguerite, che a guardarli li diresti senza fondo. È piccola. Così piccola che a volte sembra scomparire. È bella Marguerite. Così bella che darti, a volte, la sensazione di poterti accecare. I suoi lineamenti, dolci e setosi, capaci di infonderti quell’amore che non possono trattenere. I suoi capelli, ricordarti il colore delle foglie in autunno, caderle spesso in avanti, coprirle quegli occhi neri come il petrolio, che a guardarli li diresti senza fondo. Ma in realtà è impossibile descrivere Marguerite. Marguerite è.

È da un po’ di tempo che è triste Marguerite. Riesce a non esserlo solo la mattina, verso le sei o giù di lì, quando si affaccia alla piccola finestrella della piccola camera che da sul piccolo parco. Braccia strette a se a formare un involucro.

Il giorno poi, scorrerle uguale e vuoto come tutti gli altri, rinnovare in lei la speranza che una nuova alba la riconduca alla novità. Scorrono confuse le giornate di Marguerite, mentre osserva un mondo sfocato, come fosse coperto da un velo di cellophane.

Marguerite è pazza, dicono. Ha tentato di uccidersi, e ha bisogno delle medicine per star calma. Ma Marguerite odia le medicine. È l’unica cosa che abbia mai odiato. Quelle e la TV. Per lei hanno lo stesso effetto, un grigio e malinconico torpore. Ma Marguerite è costretta a prendere quelle pillole. Potrebbe ritentare il suicidio, dicono. Come quel giorno in cui la madre la trovò morente, stesa sul tappeto e il sangue scorrerle dai polsi.

– Ho perso la bellezza, diceva. Un rantolo quasi impercettibile. Fu da quel giorno, forse, che Marguerite divenne dipendente da albe. L’unica cosa che ancora non si rifiutasse di illuminarla. Solo lì, solo allora si sentiva felice. Tutte le mattine, verso le sei o giù di lì.

Marguerite non prende più le pillole. No, non è guarita, anzi. Non si guarisce da una malattia che non esiste. Solo non ha più voglia. Di guarire da se stessa. Di guardare il mondo da dietro quel velo di cellophane. Così spesso. Ogni giorno di più.

Nessuno sa che Marguerite non prende più le pillole. La obbligherebbero a ricominciare, se sapessero. Le impedirebbero così di continuare a cercare la sua bellezza perduta. Quella che crede di aver perso, ma che è parte di lei, almeno quanto quei suoi occhi neri come il petrolio, che a guardarli li diresti senza fondo.

È a un passo dal capire Marguerite. Capire la causa di tutto. Capire quanto è stata vicina a perderla per sempre quella bellezza. Capire il perché le sembrava di averla smarrita.

Era troppa. Troppa per quel suo cuoricino freddo e lì lì per scoppiare. Troppa per pensare di meritarla. Troppa per pensare che potesse durare per sempre. Troppa per chi sente di avere qualcosa da perdere. Troppa.

Anche per lei.

Marguerite è pazza, dicono. È scappata dalla clinica. Hanno trovato decine di pillole, nascoste nel suo materasso. È un’incosciente, potrebbe farsi del male, sentenziano. Ma Marguerite non è pazza. Marguerite è viva, adesso. Ha preso le sue cose ed è andata via. Assapora la libertà, ora. Quella che le avrebbero dovuto dare il farmaci, capaci solo di alterare percezioni. Ha scoperto di non essere più dipendente da albe, Marguerite.

Lo ha scoperto guardando il tramonto, avere per lei l’effetto di una scarica elettrica, supremo attimo di piacere a contorcere cuore e reni. Guardando il sole morire, con un sorriso, consapevole della sua imminente rinascita.

È finalmente felice, Marguerite. Come quando, una volta, si alzava tutte le mattine, affacciandosi alla piccola finestrella della piccola camera che da sul piccolo parco. Per guardare l’alba. Verso le sei o giù di lì.

di Marco Marchese