Vita da tifosi

Maggio 23, 2004 in Racconti da Redazione

Tifosi VeronaPer una volta, essere donna ha i suoi vantaggi. Nello specifico, è socialmente accettato che una ragazza si interessi poco – o nulla – di calcio, senza che ciò comporti un qualche sintomo di una non meglio motivata tendenza all’alienazione sociale. Intendiamoci.

Se se ne intende, ben venga. Altrimenti, non è cosa grave, considerata la tradizionale distinzione dei ruoli sessuali: la fanciulla troverà numerosi amici che pazientemente le spiegheranno – più volte e, ahimè, invano…– cos’è esattamente un fuorigioco, uno schema a zona, addirittura che “noi siamo quelli con la maglia blu” – o a strisce, o rossa, la variabile qui è indipendente -, senza magari sospettare che alla suddetta non gliene potrebbe importare meno della zona o di chi parte quando, e che si sciroppa tutta la solfa per interesse puramente estetico-personale verso l’amico o, più spesso, per amore nei confronti della legittima metà. Il più delle volte, rassegnata ma fintamente interessata. Dall’altra parte, l’amico e/o partner si imbarca in pazienti e semplificate – la terminologia spesso è simile a quella impiegata per gli adolescenti, anche se tu hai due lauree e un paio di master – spiegazioni per svariati motivi, che comprendono l’interesse di cui sopra, un qualche sentimento paternalistico o l’adempimento della sua parte di contratto, che suona bene o male in questi termini: “io ti spiego adesso così tu non mi chiedi dopo quando sono un po’ incazzato perché mi hanno dato un rigore contro assolutamente inesistente”.

Premesse, queste, più o meno sperimentate, anche se fortunatamente non tantissimo, visto che nessuno dei miei uomini si è mai interessato particolarmente di calcio e nessuno mai, in tutta la mia vita, mi ha portata allo stadio, esperienza senza la quale ero vissuta abbastanza felicemente. Essendo tuttavia una persona curiosa, perché non sperimentare la vita da tifoso? Previa preparazione e aiuto, tutto è possibile. Nella fattispecie, l’aiuto si manifesta sotto forma di un amico storicamente tifoso del Verona, che unisce vari pregi: è paziente, sa tutto di partite, punteggi, situazioni e recuperi, va ad ogni partita in casa, è alto uno e novanta, ha due spalle così e ha fatto il granatiere. Cosa, quest’ultima, non disprezzabile per una fanciulla che mette piede per la prima volta in curva sud, la curva degli ultras gialloblu.

Il mio amico ha l’abbonamento qui e comunque, se si fa una cosa, tanto vale farla bene, ma le brigate non hanno esattamente fama da educandi. L’avevo sperimentato l’anno scorso, prima escursione sociologica della Perazzolo. Appena messo piede nello stadio, il tizio venditore di magliette mi consigliava: “ascolta me, prendila col fondo blu e le scritte gialle, sennò quando tiri un sasso ti beccano subito…” Quando tiri un sasso? Urge l’amico ex granatiere…. In realtà, non mi era successo nulla, e a dire il vero non c’erano stati sassi volanti e/o tafferugli, ma anche stavolta Gianmaria mi fa da coperta di Linus.

Oltre che scortata, sono anche informatissima – o almeno credevo di esserlo -: la partita, Verona-Cagliari, è importante e si annuncia carina, perché gli ospiti sono secondi in classifica mentre noi quartultimi e dobbiamo almeno non perdere per evitare la retrocessione in C1. Ok, sono pronta. Dopo la sosta d’obbligo, mi spiegano, per il panino salutista cipolla-porchetta o simile in uno dei banchetti fuori lo stadio, entriamo.

Comincia bene, visto che il Verona va subito in vantaggio. Bisogna dire che il tifo è coinvolgente, gli ultras organizzati e i cori simpatici anche se alcuni leggermente inquietanti per me neofita – dai soliti cori di supporto a roba tipo “sarai sempre il mio Verona, finché non mi porteranno via” [in questura, n.d.r.]” o “Verona, tu sei tutto per me”, che detto da gente di trent’anni suona leggermente riduttivo…

Se anch’io, assolutamente indifferente alle sorti della partita, mi sento in qualche modo coinvolta, non faccio fatica a immaginare come quello della partita allo stadio e della condivisione di una passione possa essere un rito importante e trascinante per chi invece si appassiona di calcio in generale e di una squadra in particolare. Purtroppo, la partita continua: pareggio, e successivamente brutto gioco, mi dicono. Ai cori di supporto si sostituiscono locuzioni da girone dantesco, che vertono sulle mamme dei vari giocatori, su cui gravano forti sospetti di, diciamo, libertinaggio, alternate a bestemmie, incitamenti più o meno delicati – “se gli spaccassero una sedia nella schiena, allora si che correrebbero…” – e, purtroppo, forti insulti razziali.

La retrocessione è a un passo, e la tifoseria è incazzata forte, mi spiega il mio amico-coperta, con la squadra ma soprattutto con il presidente. Non c’è scampo, soprattutto perché dopo il secondo minuto di recupero, il Cagliari passa in vantaggio, e lì dal girone precipitiamo diritti nella bocca di Lucifero, se mai… Ma guardandomi in giro, dopo il primo momento di rabbia, è soprattutto sconforto che si coglie in giro. Un mio amico – non la coperta, un altro… – è seduto e sconfortato che sembra gli sia morta la madre. Prudentemente, in questo momento di lutto mi astengo da ogni commento. La situazione è simile – se non peggiore… – al succitato caso del rigore contro e immeritato. Mentre usciamo, l’atmosfera generale è da funerale, mi sembra lo spleen di baudelairiana memoria. Ma in effetti, è più che comprensibile: vieni qui magari al freddo e al gelo per stare un’ora e mezza in piedi in mezzo a gente che grida e insulta, i tuoi giocano male, gli altri mica tanto meglio e poi perdi pure. Dura, la vita da tifosi. Ringraziamo Dio delle piccole cose: sono una donna…

di Paola Perazzolo