uno, nessuno, DieciCento ritratti

Marzo 15, 2007 in Fotografia da Stefano Mola

L’EVENTO

uno nessuno DieciCento ritrattiGiovedì 15, alle ore 19:00, all’OLS (Piazza Vittorio 23, Torino), si inaugura la mostra fotografica uno, nessuno, DieciCento ritratti. Ora, che cosa siano i ritratti non dovrebbe essere un mistero, anche se qualche precisazione la forniremo più avanti. Chi sono invece gli autori delle foto? Di un group attivo su Flickr, che si chiama per l’appunto DieciCento.

DIECICENTO, FLICKR E L’INTERNETVERSO

Fare delle cose in internet è come essere extraterrestri, costruire un universo parallelo a quello dove si mangia e si beve e eccetera. Come dimostrano i documentari della fortunata serie Guerre Stellari, ci sono varie razze di extraterrestri: quelli con sei gambe, quelli verdi, quelli eccetera. Anche nell’internetverso esistono dunque diverse razze. Per esempio, gli abitanti del pianeta flickr (la galassia dove quasi tutti mettono le foto on-line), che io come Linneo qui battezzo flickeriani. Come riconoscerli? Oltre alle braccia e alle gambe, hanno inglobata nel corpo una macchina fotografica, con cui intrattengono un rapporto al limite della patologia e forse oltre (sarebbe troppo lungo cercare di spiegare, e inoltre non mi chiamo Sigmund). All’interno di questo pianeta ci sono ovviamente diverse razze, tra cui i diecicentini. Essi scattano foto come tutti, ma in particolare cercano testimonianze di vita più o meno intelligente nella città che porta questo CAP: 10100 (Torino, n.d.r.). Per essere un diecicentino, nelle tue foto oltre a Torino deve comparire una presenza umana. Sono dunque antropologi? Non facciamoci domande difficili, accontentiamoci del fatto che a un primo sommario esame non paiono antropofagi.

MA CHE COS’È UN RITRATTO?

Immaginate una scatola di matite colorate. Una di quelle enormi, con più di trentasei colori. Ordinati dal bianco al nero, con tutte le sfumature in mezzo. Colori come emozioni. Viste così, mentre riposano l’una accanto all’altra, le emozioni sono prima di tutto dei nomi. Parole. Etichette incollate su scatole marroni da trasloco. Scatole da riempire. Per capirle davvero devi sporgerti cautamente oltre il bordo, rovistarci dentro, metterci le tue mani, che prendono e portano qualcosa. Cosa vuol dire davvero gioia, lasciata sospesa, senza ancoraggio a un momento della tua vita? Probabilmente nulla. E amore, lo stesso, se non lo incolli a una persona, a una notte, a una vacanza.

Questi colori-emozioni sembrano un zoppi, astratti. Palloncini che scappano sopra uno sfondo azzurro: non siamo sicuri di tenere il filo ben stretto nella mano. Nella distesa liquida delle parole abbiamo bisogno di una boa. Un volto, per esempio. Un ritratto forse ci può aiutare: poco importa se catturato per caso, o costruito a tavolino. Gli occhi, la bocca. Uno sfondo. Un sorriso. Una lacrima. O meglio, quegli occhi, quella bocca, il contorno di quelle labbra, il dolore di quella smorfia. Eccola, la scatola di emozioni, viva. Qualcosa su cui appoggiare quella cosa bellissima e trasparente e fragile che sono le nostre parole, lo strumento meraviglioso e insufficiente con cui proviamo a raccontare il mondo.

Nell’emozione di un volto c’è tutto quello che non siamo riusciti a descrivere. Anche se estraneo, ci accompagna a chiederci se quel dolore, quella gioia, quella malinconia, quell’amore, non siano stati nostri, in qualche momento. Un ritratto è anche la faccia che non sappiamo di avere. Un volto che diventa nessun volto, staccato dalla persona che c’è dietro, un simbolo. Dieci, cento volti. Tanti volti, tanti ritratti, tante domande, tante boe, attorno ai quali passeggiare, una sera, a Torino.

di Stefano Mola