Respiri senza tempo
Maggio 15, 2006 in il Traspiratore da Cinzia Modena
Solleva la schiena. Ecco, lì davanti, il sole in tutta la sua maestosità, di un giallo fuoco che corre lungo la linea che gli occhi riescono a seguire.
La donna si asciuga il sudore dal volto, già bruciato dal calore e dai propri sali. Una mano è portata sopra gli occhi, per osservare, mirare. Le labbra si aprono lentamente in un’espressione di stupore, socchiuse rimangono. Con l’altra mano si appoggia al manico del rastrello conficcato tra le dure zolle di terra. Il giallo arancio del sole tra poco colorerà tutta la campagna con la sua intensità. Le nuvole sospese in alto rifletteranno stelle e terra. Tra poco.
Piccoli schiaffi. Ciocche di capelli fuoriuscite dal foulard le battono sulle guance con un ritmo irregolare. L’orizzonte sembra avvicinarsi come il moto delle onde verso riva, anche gli arbusti si muovono e così l’erba del campo immenso. Là in alto, il sole pare spinto da una brezza che solletica a cascata gli oggetti posti sul suolo terra.
Con lentezza, la donna chiude gli occhi e respira a pieni polmoni. Ha caldo, anche se adesso molto meno di qualche ora fa, quando il sole delle due del pomeriggio fendeva la terra. D’istinto, un desiderio intimo le fa portare le mani alla testa e sciogliere entrambi i lembi del foulard. Le ciocche, infine libere di sollevarsi, si levano in alto, ribelli, e muovono verso direzioni disparate in ordine sparso.
Un soffio d’aria s’incunea tra i capelli provati. La fresca sensazione improvvisa regala alla donna un brivido che scende lungo tutta la schiena. Nel silenzio della campagna echeggia un gemito di piacere intimo e goduto. Il sole è sempre più vicino. La donna apre davanti a sé il tessuto rimasto in mano, lo stende e poi con metodo lo passa attorno all’ovale del volto, gettando l’ombra del rigore sulla sua folta capigliatura corvina.
La donna si raddrizza e rimane ferma ad ascoltare i sapori portati dal vento da terre lontane e vicine. Del suo orto, del suo giardino, del campo in cui lavora. Profumi familiari che sanno di casa, lontana, ad almeno un’ora di calesse.
Il sole è sempre lì. Vicino all’orizzonte, rosso come una zuppa di pomodoro, caldo come un the turco. La brezza le muove le vesti come a richiamarla al dovere, come a portarla lontano dai quei campi (estesi a perdita d’occhio) e regioni, come a volerle regalare un po’ di ebbrezza, come a riportarla alle giornate trascorse al torrente con tutta la famiglia, agli spruzzi d’acqua lanciati dai ragazzi, ai giochi tra adolescenti, alle risate tra amiche.
Il tempo passa. Le mani torneranno decise all’arnese da lavoro, le labbra saranno di nuovo strette in una linea, la schiena tornerà curva e bassa.
Tutt’intorno giochi ottici, dell’aria che cerca di ondulare e dilatare i raggi del sole. Ma lei non può guardarli, la testa è china. Il vento intanto spira con dolcezza e danza tra le colline turche, generose sinuosità della terra, e, come da un trampolino, si butta giù nelle vallate e nei campi, dividendo i fili d’erba da quelli di grano, i fili d’oro dal fieno, scivolando tra i girasoli. Una melodia pare di sentire, quasi una lontana eco di una festa o radio accesa in una casa. Una musica portata dalla brezza, una musica di vento di fiori e di foglie, di odori e di voci lontane, di canti della natura.
di C. Modena