Recensendo Edgar

Luglio 8, 2008 in Spettacoli da Stefano Mola

Edgar - 2Nella musica di Puccini ci deve essere qualcosa che parla direttamente al nostro DNA. Del resto, se guardiamo le immagini del DNA, non si ha forse l’impressione d’un pentagramma attorcigliato su se stesso? Così pensavo venerdì, al Teatro Regio, ascoltando Edgar, ultimo titolo della stagione 2007-2008. Sapevo della storia tormentata di quest’opera, nata in quattro anni e quattro atti poi ridimensionati a tre, rappresentata nella sua forma originale solo tre volte, sapevo di quell’E Dio ti GuARdi da quest’opera che il compositore vergò su una copia dello spartito in versione per canto e pianoforte inviandolo in dono all’amica Sybil Seligman. Sono cose che fanno partire un po’ prevenuti.

E invece, nonostante l’assenza di pagine indimenticabili, all’altezza di Boheme, Tosca o Turandot, nonostante qualche incertezza di atmosfera (si percepisce qualche sbandamento veristico), Puccini era già Puccini. Si avverte chiaramente quel suo irresistibile talento per la melodia, quelle frasi che ti avvolgono, che ti scivolano dentro, che parlano direttamente al DNA (o perlomeno, al mio: vero è che io sono dichiaratamente pucciniano).

Edgar - 1Visto che stiamo parlando della musica, partiamo dagli interpreti. Ancora una volta il Regio ci ha offerto l’opportunità di ascoltare delle grandi voci. Se avessimo una sola statuetta a disposizione, l’oscar andrebbe senz’altro ad Amarilli Nizza, nella parte dell’amore inossidabile, ovvero, Fidelia. Il modo con cui ha cesellato il dolore della sventurata fanciulla abbarbicata alla (finta) bara di Edgar nel terzo atto è stato magistrale. Note che davvero parevano strappate all’anima, sopra il fiato sospeso del pubblico in sala. Miglior interpretazione maschile invece al Frank di Marco Vratogna, potente ma in pieno controllo, perfettamente in parte sia nella rabbia del primo atto che nella dignità virile di quelli successivi. Julia Gertseva è stata una Tigrana tzigana quanto basta, confermando quella passionalità vocale e scenica che ci aveva affascinato nella Carmen del 2006, sempre qui al Regio. Nel ruolo eponimo un José Cura leggermente meno smagliante di quello che ci aveva regalato uno strepitoso Calaf nella Turandot ronconiana del 2007 (c’è da dire che il ruolo di Edgar non è che regali tantissimo a chi lo interpreta). Ottimo anche il Gualtiero di Carlo Cigni. Tanto per ripeterci, il Coro del Teatro Regio, qui insieme al quello di voci bianche, ancora una volta ci hanno convinto al 100%. Meno convincente invece la direzione di Yoram David: ogni tanto c’è parso che mancasse un po’ di equilibrio nella gestione dell’orchestra, che pareva a volte leggermente sovrastare il canto.

Edgar - 3Quanto all’allestimento, una premessa. Per me, non è importante lo sfarzo, quante cose ci sono sul palco, se trionfano tessuti ed ori. Conta in primo luogo se le cose funzionano. E mi piace anche quando l’allestimento suggerisce. Il teatro viene creato dal gesto, dalla parola, dalla musica. Mi piace quando c’è qualcosa che evoca, anziché mostrare del tutto, perché penso che l’obbiettivo non sia la mimesi del reale, bensì qualcosa di più e di diverso, qualcosa che fa appello alla nostra mente.

La scelta di Lorenzo Mariani, che ha firmato la regia, va in questa direzione. C’è un elemento ricorrente: delle colonne scure tipo cattedrale gotica che si alzano ritorte e tronche. Qui sta il richiamo al medioevo in cui è ambientata la vicenda, e qui sta una specie di leit motiv della scenografia. Basta cambiarne la posizione, aggiungere loro intorno dei divanetti rossi, ed ecco che siamo nella festa di un palazzo, come nel secondo atto. Poco importa che sotto rimanga sempre l’erba: non è lì il punto. Alla fantasia di chi guarda basta il suggerimento giusto. Così come nel terzo atto c’è un pulpito avvolto a una colonna ed ecco che siamo in una cattedrale. Il resto lo fanno le bellissime luci di Christian Pinaud, sempre pronte a sottolineare i cambi di atmosfera, mutando in un istante le prospettive emotive, per esempio colorando uno sfondo, isolando un personaggio con una lama di luce livida. I personaggi si muovono invece con costumi primo 900. Soprattutto il colpo d’occhio iniziale, con tutti in bianco sul prato e un mandorlo, è davvero notevole (scene e costumi sono di Maurizio Balò). Chi si è perso lo spettacolo, sappia che è stato girato un DVD, in collaborazione con la RAI.

Un’opera che mette un sigillo su un’altra grande stagione per il teatro cittadino, con spettacoli di altissimo livello. Veramente difficile scegliere, tra la Salome di Carsen e la Clemenza di Tito di Vick, il Rigoletto, il Falstaff… Sappiate inoltre che non è finita: non perdete l’occasione di andare a Racconigi, per gli spettacoli che si terranno al castello, nelle Serre Reali. Ne sentirete presto parlare, sempre su queste pagine.

di Stefano Mola