Mondovino
Maggio 16, 2005 in Cinema da Redazione
Jonathan Nossiter, regista franco-americano, poliglotta ed enofilo, ci coinvolge in un viaggio sulle strade del vino, trascinandoci per tre continenti, passando dalla Borgogna alla Napa Valley californiana, da Volterra all’Argentina, da Londra a New York, da Firenze a Bordeaux, dalla Sardegna al Brasile. Costato tre anni di lavoro, Mondovino è un documentario di 160 minuti sugli interessi e sui conflitti che si nascondono dietro una bottiglia di vino.
Il regista, presente in prima persona sullo schermo in veste di intervistatore, si mantiene defilato e dà la parola ai tanti protagonisti della filiera vinicola lasciando che siano le loro stesse parole ed espressioni a suggerire la chiave di lettura del film. Infatti se il vino assomiglia alle persone che lo fanno e viceversa, basta allora riprenderle, interrogarle, ascoltarle, inquadrare vigne, case e cantine, senza dimenticare i cani (il cane somiglia sempre al padrone), per farsi delle idee. “Il vino è morto, e non solo il vino, anche la frutta, i formaggi e tutto ciò che rappresenta la tradizione, l’identità, la cultura di un territorio” afferma sconsolato Aimé Guibert, un anziano viticultore della Linguadoca. Questo grido di allarme, è anche il rabbioso, appassionato j’accuse di Jonathan Nossiter. La globalizzazione ha inquinato anche il mondo del vino. I potenti imprenditori della California hanno un giro d’affari mutimiliardario che permette loro di orientare il gusto planetario grazie alla complicità di personaggi mediatici come Michel Rolland, consulente di aziende in mezzo mondo, e il suo amico Robert Parker, critico di punta della famosa rivista americana “Wine Spectator”, due milioni e mezzo di copie vendute in oltre 100 paesi. Nascono come funghi vini tutti uguali, forzati nel colore e nella concentrazione. Addirittura il vino viene imbottigliato con etichette diverse ma è sempre lo stesso. Basta che sia garantito dal “grande livellatore” Michel Rolland e approvato dai critici specializzati che assegnano stellette di gradimento secondo convenienza. Intanto vini locali senza recensioni e pubblicità scompaiono dagli scaffali e dalle tavole. Mentre pochi piccoli produttori europei difendono i loro vini e la tradizione, l’industrializzazione vinicola sta creando un prodotto standardizzato, che per essere buono deve avere delle caratteristiche codificate dalle multinazionali del vino e da alcuni enologi e giornalisti americani compiacenti.
Girato con camera a mano, Mondovino ha uno stile asciutto ed ordinato. Documentario militante e assertivo, informa ma non avvince, anzi annoia anche un po’. Ma quel che dice è utile e degno di riflessione: Nossiter ci ricorda che la qualità di un vino dipende non solo dal “terroir” (il terreno dove cresce), ma dal talento, dalla personalità e moralità di chi lo fa. Muovendosi con disinvoltura all’interno di un mondo dominato da lobby, difende i prodotti locali e genuini e denuncia le sofisticazioni delle multinazionali, l’omologazione del vino e il livellamento del gusto.
Tuttavia i toni apocalittici della sua denuncia lo rendono un film troppo drastico, che rischia di non arrivare al cuore e alla testa del grande pubblico di non addetti ai lavori. Nossiter calca un po’ troppo la mano nella descrizione dei personaggi, rendedoli spesso delle caricature, e dimentica di dire che il vino, nella sua storia millenaria, è sempre stato oggetto di sofisticazioni e di mode. Le ingerenze culturali e commerciali hanno avuto e possono avere un ruolo positivo: se nel passato il mercato inglese ha contribuito a creare il gusto dello Champagne e a valorizzare alcuni vini dolci e liquorosi, oggi da oltre oceano arrivano vini biologici e biodinamici che potrebbero segnare il passo di un nuovo modo di concepire e organizzare la vinicultura. Grandi assenti del film sono gli australiani, considerati i più grandi sosfisticatori.
Mondovino rimane comunque un film da vedere per il coraggio e la capacità di porre delle domande e di evidenziare dei problemi reali. E ricordatevi che “ci vuole un poeta per fare un grande vino”.
di Silvia Aimasso