La rosolia in gravidanza

Maggio 9, 2005 in Medley da Redazione

La rosolia è una malattia esantematica, comune nell’infanzia, caratterizzata da esantema maculo-papuloso, da ingrossamento dei linfonodi in regione retrocervicale e retroauricolare cui si accompagna uno stato febbrile di modica entità; è descritto un possibile cointeressamento epatico.

Le manifestazioni cliniche compaiono dopo due/tre settimane dall’esposizione al contagio e si risolvono dopo tre/quattro giorni. In assenza di complicanze, peraltro poco frequenti, che possono di volta in volta interessare le articolazioni (artriti), la cute (fatti emorragici) e il sistema nervoso centrale (estremamente rare), la prognosi di questa malattia, nella sua forma acquisita, è decisamente buona.

Nella forma congenita si possono verificare invece situazioni diverse che vanno dalla morte del feto, in una discreta percentuale di casi (10%), all’aborto spontaneo, alla nascita di bambini che non presentano anomalie di sorta. In genere, tanto più precoce è la comparsa della malattia nella madre, rispetto all’inizio della gravidanza, tanto più elevato è il rischio di dover registrare danni a carico del feto (embriopatia rubeolica dei primi tre/quattro mesi di gestazione). Tra questi, più frequenti sono le malformazioni cardiache (persistenza del dotto di Botallo, stenosi dell’arteria polmonare, incompletezza dei setti interatriale e interventricolare) a cui sono da aggiungere le lesioni oculari (cataratta, ridotte dimensioni dei bulbi oculari, glaucoma), dell’organo dell’udito (sordità) e la riduzione del numero delle piastrine (fatti emorragici a livello cutaneo). Dopo il quarto mese di gravidanza il rischio di malattia fetale si va progressivamente riducendo pur senza scomparire del tutto: ricordiamo a questo proposito il ritardo di sviluppo dell’apparato scheletrico, la rallentata evoluzione fisica e psichica, caratterizzata quest’ultima da difficoltà di apprendimento in età scolare. Infine, il neonato può essere perfettamente normale alla nascita, sul piano fisico, ma essere portatore del virus della rosolia.

Non esistendo a tutt’oggi farmaci antivirali che possano essere utilmente impiegati per la terapia di questa malattia non possiamo che affidarci alla profilassi attiva: essa è comunque l’unico mezzo per evitare l’infezione congenita del neonato. La prevenzione si attua con la somministrazione di un vaccino preparato con virus vivo attenuato da praticare a tutte le bambine in età prepubere e alle donne in età fertile recettive (che non hanno anticorpi per il virus della rosolia) esposte al rischio di contagio per ragioni di lavoro (operatrici scolastiche, sanitarie, ecc.). E’ bene ripetere richiami ogni circa dieci anni.

Nel caso di contatti a rischio, in donne non gravide, il vaccino può essere praticato anche in assenza di un controllo sierologico per valutare l’esistenza o meno di una pregressa immunità: esse dovranno comunque evitare di iniziare una gravidanza nei 3 mesi successivi alla vaccinazione per non esporsi al rischio di un’infezione causata dal virus contenuto nel vaccino stesso: trattasi di un virus attenuato ma vivo! Per questa ragione la vaccinazione antirubeolica va sconsigliata alle portatrici di deficit immunitari o sottoposte a terapie immunodepressive.

Nel caso di esposizione al contagio da parte di donne gravide è invece opportuno ricorrere alla immunizzazione passiva somministrando immunoglobuline specifiche anti-rosolia .

La pubblicazione di questo articolo rientra negli accordi di partnership tra il nostro magazine e Cidimu.it, sito specializzato nella diagnostica e medicina on line.

di prof. W. Grillone