Intervista ad Alice Suella
Maggio 7, 2008 in Libri da Redazione
Pensiero, riflessione, lettura o esperienza… Insomma da cosa è scaturita l’idea del tuo libro?
In realtà non c’è stata nessuna idea. Era un periodo di cambiamenti: città, lavoro, amici. Ero talmente serena che la sera mi veniva anche voglia di scrivere, e non scrivevo da circa otto anni, ormai. Alla fine è uscita questa “cosa” che non so se definire romanzo o pensieri incontrollati o cos’altro. Guardavo quello che accadeva durante il giorno, a Bologna, nelle piazze o a casa mia o nei messaggi del mio cellulare. E tutto questo si è trasformato ne L’oro in bocca, insomma. L’unica cosa che sapevo era che volevo scrivere delle cose in cui il punto cardine fosse il cinema. Il resto è stata tutta una sorpresa anche per me.
Come definiresti il tuo linguaggio? Quale tipo di emozione vorresti che il lettore riuscisse a ricevere dal tuo modus narrante?
Potrei definirlo post punk. Sub umano. O psicotico. Skizofrenico. Vorrei che destabilizzasse, irritasse, vorrei che nessuno riuscisse a capire fino in fondo di che volevo parlare. E funziona. Perchè tutti quelli che ho avuto la fortuna di sentire, dopo che han letto L’oro in bocca, hanno posto domande diverse e fatto osservazioni cervellotiche a cui io non ho mai nemmeno pensato, mentre scrivevo. Una reazione cervellotica. Oppure risate isteriche. Ecco cosa vorrei.
Quale aspetto del tuo lavoro hai amato di più? Quale personaggio?
Non lo definirei proprio un lavoro, altrimenti non lo avrei amato per niente! In realtà mi è piaciuta proprio l’idea di sedermi e mettermi a scrivere. Quello che è venuto fuori mi ha divertito in egual modo. Capitan Piede con i suoi viaggi allucinogeni, quella di Misery non deve morire che girella per le pagine, gli alieni…
C’è un aneddoto che ricordi con piacere legato al periodo in cui hai lavorato al libro?
L’incontro con un barbone in piazza Santo Stefano, a Bologna. Stavo prendendo il sole e stavo, combinazione, scrivendo. Si è messo a urlare al nulla ed io ho iniziato a prendere appunti. Un genio, un guru, un mito! E’ entrato nel libro e compie anche un’azione significativa e tutto il suo discorso compare intatto…
Per te è più importante cosa si scrive o come si scrive?
Entrambi, è la prima risposta. A me piace sperimentare. Però la sperimentazione fine a se stessa è inutile. Non ha senso, per esempio, togliere semplicemente la punteggiatura per far vedere che sei strano, diverso dalla massa. Però se questo si unisce anche a idee nuove, allora ha senso. Ci deve essere una mescolanza: puoi anche puntare più sullo stile, sul come si scrive, però un minimo devi cercare di assecondare anche la creatività, altrimenti a cosa serve?
La copertina è molto importante. L’immagine l’hai scelta tu? come la leghi alla tua storia narrata?
L’immagine l’ha scelta l’editore, chiedendo però il parere a me e a Gianluca Morozzi, il curatore di collana. L’abbiamo scelta per il forte impatto: si capisce già, guardando, dove il romanzo vuole andare a parare: nella paura psicotica, nella risata pazzoide, nel divertimento cinico.
Quali sono gli autori che consideri pietre miliari della tua formazione, come lettrice e come scrittrice?
Kurt Vonnegut!! Una delle cose che mi ha spinto a scrivere con questo stile spezzettato è proprio la lettura di tutti i suoi libri. Lo amo alla follia. Poi, beh, Charles Bukowski. Ma quando ho scritto L’oro in bocca non lo conocevo, l’ho scoperto dopo, quando il mio compagno, Andrea, mi ha detto che gli ricordava Pulp… Per me è stata una folgorazione. Tutto quello che avrei voluto leggere, era pronto per me. Con le stesse parole che avevo cercato in tutti questi anni…
di Cinzia Modena, Stefano Mola