Impressioni su Ernani

Giugno 28, 2007 in Spettacoli da Stefano Mola

ErnaniVorrei iniziare con una premessa sul mio coefficiente di verdicità, che misura quanto l’orecchio ama la musica del compositore nazionale per antonomasia, essendo la sua musica interecciata di Risorgimento quale quant’altra mai. In tal modo, il lettore potrà pesare le parole nella maniera più opportuna.

Ora, il mio rapporto con il compositore di Busseto è in un tormentato divenire. Il temibile zumpa-ppa cui talora a torto si dà troppo risalto (anche in sala martedì sera alcuni dicevano il solito verdi) lo trovo troppo facile. D’altra parte, ritengo anche che La Traviata sia una delle opere più belle che siano mai state scritte, soprattutto quella specie di stream of consciousness che è il finale del primo atto, in cui Violetta ci sciorina tutta la sua interiorità con una intensità commovente dove non c’è traccia alcuna traccia di patetismo. Traviata è anche un’opera dove l’isolamento del personaggio sulla scena (ovvero fermi tutti perché devo cantare un’aria) ha una sua funzionalità drammatica precisa e non l’assolvimento di una specie di obbligo sindacale.

Detto questo, Ernani per me è un po’ troppo zumpa-ppa, anche se nei momenti di maggiore interazione tra i personaggi la forza psicologica verdiana emerge in maniera nitida e assolutamente coinvolgente. La presenza delle arie a specifica c’è, basti pensare all’apertura: dopo il coro, tutti fermi, ecco Ernani che ci intrattiene con la celeberrima Come rugiada al cespite. Dopo, ancora frammenti di coro e poi tutti escono.

Stabilito per onestà il mio punto di vista, per raccontare le mie impressioni sullo spettacolo al Regio vorrei proprio partire da Come rugiada al cespite. Ciò che maggiormente mi ha colpito è stata la qualità dei cantanti. Ora, non è che i bravi tenori abbondino. Intendo quelle voci che non vorresti che finissero di cantare, potenti, rotonde, espressive, in grado di reggere bene su tutto il registro di impiego. Ecco, l’Ernani di Fabio Armiliato è così: sospende il tempo (quello psicologico, non quello musicale) e ti attacca al piacere della melodia. Compagna sulla scena e nella vita, troviamo Daniela Dessì, che ha ricamato la parte di Elvira con una finezza e una dolente delicatezza. Solido il Don Carlo che ci ha regalato Lucio Gallo, il personaggio forse maggiormente delineato da un punto di vista drammatico. Molto bene ha anche impressionato il deus ex machina della disgrazia, ovvero il Don Ruy Gomez de Silva di Giacomo Prestia. Questo quartetto perfettamente assortito è stato assecondato con delicatezza estrema dalla direzione di Bruno Campanella e dal sempre ottimo Coro del Regio (il cui maestro è come sempre Claudio Marino Moretti).

Quanto alle scene di Pier’Alli, sono imponenti e le pareti spesso inclinate, come a suggerire una distorsione, come a preavvisare che il tutto non potrà finir bene, ma sarà destinato a precipitare nella strettoia dell’inevitabile catastrofe. Colori caldo bruni, in prevalenza.

E così, siamo arrivati alla fine della stagione 2006-2007. Una annata aperta con la Turandot nuda di Ronconi, difficile per i tagli annunciati, coronata con il segnale di fiducia nel teatro rappresentato dal record di donazioni del 5 per mille. Il mio personale bilancio? Eleggo spettacolo dell’anno la Turandot, seguita dall’assai contestato Flauto Magico coi dialoghi riscritti da Baricco, insieme alla straordinaria Rusalka di Carsen. L’appuntamento è per il 7 ottobre prossimo, ancora con Verdi. Il Falstaff aprirà infatti la stagione 2007-2008. Ma di questo, ci sarà tempo di parlare. Una buona estate di musica a tutti.

di Stefano Mola