Il ritorno dei Koop
Dicembre 3, 2007 in Musica da Redazione
Fu grande la mia curiosità quando, nell’ormai lontano 2001, un amico mi regalò un disco dei Koop. Non sapevo nulla del gruppo, anzi del duo, a giudicare dalla foto di copertina, se non che non avrebbero mai vinto un premio per il miglior abbigliamento dell’anno. Poco male, dicono che non bisogna mai fidarsi delle apparenze, quindi iniziai subito con un primo, distratto ascolto. Le tracce, incise abbastanza bene e con a tratti un voluta ruvidità lo-fi che ricorda il vinile d’annata, scorrevano velocemente.
Quasi subito ebbi una piacevole sorpresa: le voci, gli arrangiamenti e le atmosfere in generale confermarono che il mio amico aveva scelto per me un buon disco di free-jazz, o pop-jazz, o se preferite, jazz per tutti i palati. Bene. Racimolai così qualche informazione sui Koop, venendo a sapere che si trattava di un duo svedese di musica elettronica che in realtà non si discosta molto dalle formazioni jazzistiche classiche, perché oltre alle musiche e ai campionamenti incide con vere e proprie band di professionisti con tanto di strumenti acustici e vocalist d’eccezione. Forti i richiami al jazz anni ’30 e ‘40, ma anche alle atmosfere anni ‘60 di certa musica jazz nord-europea e a sonorità pop e perché no un po’ ambient (anche i gabbiani vogliono dire la loro!).
I puristi storceranno il naso definendo questo genere troppo “lounge”, ma in fondo la musica non è solo dissonanza o puro virtuosismo fine a se stesso, e se ben concepita e suonata non può che essere giudicata positivamente. Dall’uscita di “Summer Sun”, il singolo più famoso e suonato dalle radio, Magnus Zingmark e Oscar Simonsson hanno venduto quasi 250.000 copie di dischi nel mondo di cui 25.000 solo in Italia. Pur non riuscendo a bissare il primitivo successo, i due svedesi di Uppsala hanno proseguito il loro percorso artistico con un altro disco, “Koop Islands”, che non mostra forse soluzioni compositive originalissime, ma si difende molto bene risultando coerente con gli stilemi iniziali e mostrando al tempo stesso una punta di raffinatezza in più ed è, com’era lecito aspettarsi, orecchiabilissimo.
Per la foto di copertina non saprei dirvi, questione di gusti, di certo complimenti alla truccatrice. Ma veniamo a fatti ancora più recenti. Il 23 novembre non mi sono lasciato sfuggire l’occasione di ascoltare i Koop in concerto a Roma, al “Circolo degli artisti”, dove in una cornice non enorme ma sicuramente adeguata al genere hanno suonato per circa un’ora davanti ad un pubblico numerosissimo e a dir poco appassionato. La formazione comprendeva un batterista, un percussionista, un contrabbassista, un vibrafonista, un trombonista, una vocalist e ovviamente i Nostri ai synth e ai campionatori ma anche alla fisarmonica.
Posso dire di aver assistito ad uno spettacolo di alto livello che ha dimostrato, se ce ne fosse ancora bisogno, come assoli di musicisti “tradizionali” possono tranquillamente fondersi con le migliori basi elettroniche e suoni d’ambienza. Davvero rimarchevole la performance del vibrafonista e comunque ottima quella dei restanti componenti del gruppo che sono riusciti a infondere una certa dose di verve al concerto, sopperendo così all’atavica, nordica freddezza comunicativa di Magnus e Oscar.
Una certezza: i Koop possono confrontarsi a testa alta con molti altri compositori illustri e senza troppi timori reverenziali. La loro virtù migliore deriva proprio dalla capacità di comporre musica per tanti, tantissimi ascoltatori e perché no, perfino per alcuni dal palato particolarmente fine. E anche stavolta, complimenti alla truccatrice.
di Gianfranco Catullo