Il Campiello a Santagata
Settembre 18, 2003 in Libri da Stefano Mola
Retroscena, mondanities e commenti alla serata che ha incoronato “Il Maestro dei santi pallidi”. Scegliete la sezione che più vi interessa. Da parte mia, arrivederci al prossimo Campiello!
IL COMMENTO ALLA GRADUATORIA FINALE
I FINALISTI ALLA CONFERENZA STAMPA
LA SERATA A PALAZZO DUCALE
Nel momento in cui Marco Santagata è stato proclamato vincitore della XLI edizione del Premio Campiello, mi trovavo non solo tra gli oltre mille vips presenti nel cortile di Palazzo Ducale, ma addirittura sul palco. Tranquilli: sono ancora libero e in buona salute, forse anche mentale. Non sono stato arrestato e malmenato per un gesto di sconsiderato esibizionismo dalla scorta del Presidente del Senato Marcello Pera (compagno di università del vincitore, tra l’altro). E non sono stato baciato da un raggio di improvvisa celebrità. E neppure mi sono stati riconosciuti i meriti di cronista letterario maturati in questi anni di Traspi.
Semplicemente, più della fama immaginaria o della fame di celebrità, poté il diluvio. In tre giorni di soggiorno a Venezia, solo due ore sono state funestate dal cattivo tempo. Esattamente quelle tra le 20:00 e le 22:00 di Sabato sera. Splendido sole tutto il pomeriggio. Le prime gocce alle 19:30. Non pioverà mica? Questa la domanda nella testa delle signore in lungo e spalle nude, e magari anche nella testa dei loro gioielli che per una serata potevano campeggiare su centimetri e centimetri quadrati di pelle scoperta. Invece, quando alle 20:00 ci siamo affacciati dal portico di Palazzo Ducale per allungare lo sguardo sul sempre emozionante cortile, lo abbiamo trovato ricoperto da un arlecchino di funghi bianchi, rossi, gialli e blu. Gli ombrelli distribuiti dall’organizzazione. L’indecisione strisciava, mescolata alla palpabile delusione da Grande Evento Mondano Monco. Nonostante l’acqua si facesse sempre più vigorosa, stoici personaggi restavano coraggiosamente seduti ai sui loro posti numerati, come sentinelle comandate.
Corrado Augias impavido a capo nudo sul palco cercava di esorcizzare gli elementi, esortando il popolo a prendere posto: la pioggia infingarda sembrava cedere alla sua invocazione druidica e concedeva una tregua. Migliaia di fazzolettini di carta venivano sacrificati in una asciugatura di sedie collettiva. Invano. Dopo pochi minuti la pioggia riprendeva a sferzare la folla, più forte di prima. Dopo molti minuti di attesa sconsolata, il segnale di resa: si accendevano le luci sotto il portico e si dava inizio al rinfresco. Nel consueto lavoro di gomiti e fianchi come neanche sottocanestro per assicurarsi le posizioni migliori, si poteva assistere alle manovre incredibili tipiche dei buffet: piattini stracolmi al limite della stabilità statica venivano girovagati qui e là, piovree mani afferravano schiere imprecisate di calici.
Improvvisamente, iniziavano a rimbombare voci distorte eppure familiari. Dai piccoli monitor dei cameramen restati nel cortile, spuntavano i volti ridotti a figurine di Augias e della Capua. Il Grande Evento Mondano, diventato ora Ancora Più Esclusivo, stava dunque avendo luogo da qualche altra parte. Abbandonando il buffet, si cercava confusamente di a) capire dove l’evento aveva luogo; b) convincere inutilmente gli addetti ai cancelli di avere il diritto divino all’ascensione verso il luogo sconosciuto e mitico. Senza risultato. Si scopriva che esistevano biglietti grigi e biglietti rossi: soltanto i secondi davano la possibilità di accedere alla stupenda e affrescata sala al secondo piano, che per ovvii e giusti problemi di capienza non poteva accogliere tutti.
Ecco perché, cessata inutilmente la pioggia, dopo una girandola di foto ricordo, mescolato a un gruppo di non abbastanza vip, chi in piedi, chi seduto sulle sedie che avrebbero dovuto accogliere i vip veri, ero sul palco a fissare un video che avrebbe dovuto fungere da spia visiva per Corrado Augias e Roberta Capua, conduttori della serata. Ho fatto in tempo a raccogliere briciole delle bordate cariche di indignazione lanciate da Edoardo Sanguineti (premio speciale delle giuria dei letterati) contro alcune recenti riscritture a tarallucci e vino di un famoso ventennio della nostra storia. Poi, dopo l’annuncio, il rompete le righe e alcune incredibili scene di adorazione del vip. Una giovine signora scatenata li attendeva al varco ai piedi della scalinata e, dopo aver rubato uno scatto fugace a Roberta Capua, riusciva a farsi fotografare giulivamente nell’ordine accanto al presidente della Regione Veneto Galan, al presidente della giuria dei letterati Michele Placido, e a Corrado Augias.
Un’ultima notazione di costume. L’anno scorso avevamo criticato il vestito delle gentili ragazze dell’organizzazione. Quest’anno, ineccepibili ed elegantissime, sfoggiavano un lungo e fasciante abito color pesca, con stola in tinta. Complimenti.
Per i narrati avvenimenti metereologici, poco invece posso dire dei balletti e delle parole di Ahmad Dahbour, poeta palestinese, e di Meir Shalev, giornalista e scrittore israeliano. La serata aveva infatti per meritorio tema l’incontro tra oriente e occidente. Quale luogo migliore di Venezia, per secoli città ponte tra culture, per parlarne? Speriamo che la pioggia non si sia messa di traverso per cattivo auspicio. I tempi, quelli non atmosferici che si vivono in Medio Oriente, non ne hanno sicuramente bisogno.
IL COMMENTO ALLA GRADUATORIA FINALE
Tra i cinque finalisti, “Il maestro dei santi pallidi” (81 voti sui 247 validi) è sicuramente l’opera di maggiore leggibilità e godibilità. Non sia questa una diminutio: non sempre l’oscurità, la cupezza e la pesantezza sono un pregio. Inoltre, nella vicenda di Cinin, che da bastardo e analfabeta diventa apprezzato pittore, sono comunque presenti elementi di amarezza e spunti di riflessione. Santagata ha il grande merito di riuscire a far scorrere bene una storia vera e robusta, forse la più robusta insieme a quella raccontata da Simona Vinci, che ha strappato la piazza d’onore (69 voti). In “Come prima delle madri” però la dimensione da incubo e allucinazione che percorre gran parte del libro ogni tanto scoraggia la lettura. Stessi tratti dominanti, forse ancora più opprimenti, ritroviamo nel romanzo di Montesano “Di questa vita menzognera”, quarto con 28 voti, dove per di più la storia regge meno. Terzo posto per Roberto Alajmo (49 voti), dettosi convinto in mattinata nel corso della conferenza stampa di aver scritto un libro umoristico che ha invece raccolto per lo più letture “tragiche” (a me ha ricordato un sogno di Kafka scritto da Beckett). Anche se per coerenza interna, il suo “Cuore di madre” è probabilmente il romanzo più compiuto e unitario grazie alla notevole adesione dello stile utilizzato alla storia raccontata,. Ultima (19 voti) Laura Pariani. Le sei delicate e al tempo stesso dure storie di suore che compongono “L’uovo di Gertrudina”, offrono a tratti la qualità di scrittura a mio avviso più elevata tra tutti i finalisti presenti. Ovvero, ci sono delle pagine che sanno dare emozioni e che mettono voglia di rileggere. Ma le storie raccontate non hanno sempre grande presa, a volte per troppa impalpabilità.
IL CAMPIELLO GIOVANI
Durante la conferenza stampa a Palazzo Labia, Sabato mattina, c’è sempre la premiazione del Campiello Giovani. Il concorso è riservato ai ragazzi tra i 15 e i 21 anni. Come per i “grandi”, anche qui c’è una cinquina. I loro racconti, selezionati dalla giuria presieduta da Lorenzo Mondo, vengono pubblicati in un volume. Lo abbiamo l
etto. Ha vinto Francesca Franzon, con “Noi e il monoscopio”. Sorprende in lei la notevole consapevolezza dell’atto dello scrivere. Le azioni descritte sono scomposte analiticamente, biologicamente, fisicamente, matematicamente. I protagonisti narrati interagiscono con un fantomatico autore, che è ovviamente ancora diverso dall’autrice in carne ed ossa. Nulla che non si sia già visto, ma la scrittura è molto ben padroneggiata e priva di sbavature sentimetaleggianti, come in altri racconti presenti nel volume e come ci si potrebbe senza scandalo aspettare vista la fascia di età. Si vedano ad esempio le molto meno convincenti prove di Niccolò Maria Marronato e Francesco Vietti. Degno di menzione per quasi analoga consapevolezza Paolo Di Paolo, con la riscrittura di una novella del Boccaccio, che si conclude con una riflessione sul narrare e sul rispecchiarsi nelle storie, sulla loro universalità temporale. Bene anche Marina Cavaciocchi, per la profondità e al tempo stesso per la freschezza nella rappresentazione del dolore nel contesto familiare di una adolescente che ha perso il fratello.
Insomma, una cinquina che a nostro parere è la migliore degli ultimi tre anni. Francesca Franzon ci sembra pronta per altre prove, anche per l’ostentata sicurezza con cui si è mossa. In completo jeans camicia gonna sbiadito, corregge subito Ziliotto, presidente dei giovani imprenditori del Veneto quando questi sbaglia a leggerne il cognome. Ostenta per il resto un’aria lievemente annoiata, tranne quando porta le mani alla testa, dopo la proclamazione. Ma è un attimo. Dopo la vediamo seduta sullo sgabello di un pianoforte, gambe accavallate ad evidenziare le scarpe da pugilato, aspettando con lieve sdegno che tutto finisca. Insomma, potrebbe avere la qualità antipatica di tirarsela a volte necessaria per sfondare.
I FINALISTI ALLA CONFERENZA STAMPA
Roberto Alajmo. Diciamolo, ci è parso il più simpatico. Sorridente, abbronzato, pronto alla battuta senza cercarla a tutti i costi. Non sembra proprio l’autore di un libro così agghiacciante quale “Cuore di madre”. Forse perché, come ha ammesso, credeva di aver scritto un libro umoristico (!). Per avviare il figlio sull’insana strada della lettura, ha deciso di vietargliela. Non più di mezz’ora al giorno, e poi via, giocare a pallone. Del resto, il proibizionismo americano ha insegnato qualcosa. Un grande.
Leggete la recensione di Cuore di madre (Mondadori)
Giuseppe Montesano. Una faccia che non sfigurerebbe accanto a quella del no global Francesco Caruso (i mali del lombrosianesimo, lo ammetto). Cadenza leivissiamente napoletana, la sua parlata è molto meno sdegnosa dell’espressione. Ha parlato con molto rispetto dei colleghi e del premio, non è caduto nella disgraziata e patetica trappola sullo stato della patria malata immediatamente lanciata dal giornalista de l’Unità. Che gli scrittori scrivano, e a ognuno il suo mestiere. Una sorpresa positiva.
Leggete la recensione di Di questa vita menzognera (Feltrinelli)
Laura Pariani. Capelli dritti dritti riga in mezzo neri e un po’ di argento, occhialoni enormi. Sembra la secchiona del primo banco. Una voce che invece affascina, lievemente spolverata di accento spagnolo (ha vissuto per molto tempo in Argentina), riflessiva, quasi trasognata, eppure molto decisa. L’unica che abbia parlato del suo libro (noi stampa eravamo lì per quello), senza nascondersi dietro al fantoccio di pudore messo in campo da tutti gli altri (abbiamo capito, ma siete sul palco e tocca ballare). Ha delle cose da dire, e le dice bene.
Leggete la recensione di L’uovo di Gertrudina (Rizzoli)
Marco Santagata. Sembra il nonno buono. Occhi sorridenti dietro gli occhiali e sopra i baffi sale e pepe. Purtroppo, del nonno buona ha anche il lato logorroico. Non ricordiamo suoi interventi particolarmente degni di nota. Però con quella faccia ci si aspetta che possa raccontare fiabe. E il suo libro, che ci è piaciuto, un pochino lo è.
Leggete la recensione di Il maestro dei santi pallidi (Guanda)
Simona Vinci. La più antipaticamente star. Minuta, carina, per i capelli e il viso ricorda Madonna nel video di “Frozen”. Sfingea per buona parte del tempo. Esordisce prendendo il suo libro e leggendone senza minima parola di introduzione una paio di pagine relative alla guerra, lo chiude e ritorna al silenzio. Come dire, che altro c’è bisogno di dire dopo cotali frasi? Quando termina di scrivere un libro si disinteressa totalmente di critici e pubblico (ma allora perché ha un sito internet?). Sfortunatamente ha un amico giornalaio che la avverte di quando compaiono le recensioni (ma allora le legge? resteremo con questo dubbio). Ci informa inoltre che in Italia ci sono molti recensori ma pochi veri critici. E che tra i due c’è molta differenza. Insomma, lo stadio evolutivo successivo a quello di Francesca Franzon, vincitrice del Campiello Giovani (vedi sopra).
Leggete la recensione di Come prima delle madri (Einaudi)
di Stefano Mola