Festival delle Colline Torinesi
Giugno 23, 2008 in Spettacoli da Roberto Canavesi
Luci ed ombre negli spettacoli seguiti questa settimana per il Festival delle Colline Torinesi con il trionfo, e non poteva essere altrimenti, di Vita mia di Emma Dante che ha letteralmente strappato ovazioni al folto ed accaldato pubblico del Teatro Vittoria: non un inedito, semmai uno spettacolo di repertorio sempre in grado di emozionare e coinvolgere grazie ad una suggestione poetica che irrompe sul palco tanto dalla forza di un linguaggio fortemente ancorato alle radici popolari, quanto dalla straordinaria vitalità dei quattro interpreti, Alessio Piazza, Ersilia Lombardo, Enzo Di Michele e Giacomo Guarneri.
In scena una danza di morte dai toni ora mesti, ora grotteschi con una madre impegnata nella strenua difesa dei tre figli, uno dei qual sarà presto strappato dalla nera signora: una madre a tratti benevolmente matrigna, ma anche e soprattutto una madre fino in fondo educatrice nel raccomandare alla noia a Gaspare, Uccio e Chicco che la vita è la cosa più bella che ci sia, una corsa circolare attorno a quel letto-catafalco sopra di cui ora giace Chicco, vestito di tutto punto ed amorevolmente vegliato. In un crescendo emotivo di grande intensità, lo spettatore è testimone di un dramma intimo e privato volutamente collocato al di fuori di una definibile dimensione spazio-temporale, un’ambientazione in cui a risuonare cupamente sono la cieca disperazione di una madre mentre il ritmo di quella vita a lungo difesa si fissa immobile in un non–tempo dove lascia spazio a ricordi, rimpianti, piccoli e semplici gesti quotidiani.
Alcune perplessità ha invece suscitato Che tragedia!, il progetto prodotto dallo Stabile calabrese, in collaborazione con il Festival della Magna Grecia, che vede i registi Annalisa Bianco e Virginio Liberti utilizzare una serie di esemplari traduzioni classiche di Edoardo Sanguineti, partendo da un’idea di “fisicità” dell’attore applicata a brani di cori e messaggeri: Dioniso come le Baccanti, piuttosto che la disperazione di un’Andromaca schiava per amore, sul palcoscenico è proposta un’antologia classica dove ad impressionare è soprattutto la presenza di un sottotesto riconducibile non tanto alle parole pronunciate quanto all’utilizzo di un’espressività corporea che porta l’attore ora a sfiorare l’apnea dentro una vasca d’acqua, ora a dar vita, nella scena in assoluto più suggestiva, ad una spasmodica corsa da fermi, tutta a base di scatti spasmodici, di quattro coreuti intenti a perseguire la climax tragica. Da sempre squarci teatrali riferiti con lucidità e senza enfasi, i cori e i monologhi dei messaggeri rivivono in uno spettacolo-labirinto da cui lo spettatore con molta difficoltà riesce ad uscire, arrivando a provare la netta sensazione di trovarsi di fronte ad una serie di “racconti” tra di loro slegati, più che ad una partitura completa e organica: un “equivoco” drammaturgico che non ha riflessi sull’apprezzabile prova dei quattro attori-atleti, Lorenzo Gleijeses, Andrea Capaldi, Armando Iovino e Davide Pini Carenzi, cui è andato il giusto tributo per un’interpretazione tutta cuore e gambe.
di Roberto Canavesi