Fabris: italiano d’oro!

Febbraio 22, 2006 in Sport da Federico Danesi

Un trionfo in tre mosse. Atto primo: Enrico Fabris parte per la gara della vita, ma è la sua, quei 1.500 metri dei quali è stato il re in Coppa del Mondo quest’anno. Deve battere il record della pista, quel record che è già suo. E lo fa, nonostante un’impasse al primo giro, quando deve rallentare leggermente per fare passare il suo avversario. Un crono pazzesco, 1’45”97, e avversari avvertiti, americani in testa.

Atto secondo: Enrico si siede nell’angolo del leader e aspetta. Ha quattro lunghissime batterie da attendere, ognuna con un potenziale vincitore, se non due. Ma via via saltano tutti, a cominciare dagli olandesi e da Parra, campione olimpico quattro anni fa e primatista del mondo. Fa peggio anche Hedrick, lo spauracchio americano che pure fino all’ultimo giro era nettamente in testa. Resta solo Shani Davis, quello che due giorni fa s’era vestito d’oro nei 1.000.

Atto terzo: Davis stilisticamente è perfetto e potente, una macchina. Passa sempre in vantaggio, lo allunga e sembra impedibile. Sull’ultimo rettilineo però le gambe cominciano a cedergli, non riesce a spingere come dovrebbe. Un boato: è dietro, di sedici centesimi, ma è dietro. Fabris salta come un grillo, l’oro è suo. E la prima cosa che fa? E’ l’atto quarto, quello non scritto sul copione: va ad abbracciare Davis, un abbraccio liberatorio per entrambi. Un segno di stima che il pattinatore americano, solo per il torto di essere nero e poco integrato con il resto della sua nazionale, domenica non aveva ricevuto dai compagni nemmeno dopo la vittoria.

Enrico Fabris, in tre gare, ha portato a casa due ori e un bronzo. E, particolare non del tutto trascurabile, anche 300mila Euro che il Coni sarà ben felice di pagargli, oltre a quello che gli frutteranno in ingaggi e sponsorizzazioni questi successi. Ma resta il ragazzone asiaghese di sempre, quello che come primo commento riesce solo a dire “Questo oro me lo vivo dentro, è una sensazione interiore enorme che non so nemmeno descrivervi”.

GERDA, SIGNORA D’ITALIA

Ha aspettato dodici anni per tornare sul podio olimpico, ma lo ha fatto da vincente. Gerda Weissensteiner, alla vigilia dei Giochi, era qui per eguagliare il record di partecipazioni olimpiche, sei. Oggi torna a casa con un bronzo, quello conquistato nel bob a due, che farà coppia con l’oro vinto a Lillehammer ’94. Allora era campionessa di slittino, ora si è ampiamente riciclata nel bob, anche perché il suo idolo è Gunther Huber, che a Nagano proprio nel bob a due vinse l’oro.

Terza, in coppia con Jennifer Isacco, alle spalle dell’imprendibile tedesca Kiriasis e di Usa 1, ma con un risultato che sa di primato, perché è la prima medaglia della storia olimpica italiana nel bob femminile. Ora potrà ritirarsi soddisfatta.

BIATHLON, QUASI DA URLO

Ci abbiamo creduto per due terzi, poi siamo tornati sulla terra. La squadra maschile di biathlon ha disputato una staffetta perfetta sino ad oltre metà gara, quando è stata largamente in lotta per una medaglia e l’ottavo posto finale sa di beffa per un quartetto che ha fatto sognare.

Perfetti sia De Lorenzi in prima frazione che Vuillermoz in seconda, con due soli errori al poligono prontamente rimediati con la prima cartuccia di riserva e Italia che ha cambiato in seconda posizione dietro all’imprendibile Germania. Poi Paolo Longo, che a 28 anni non si può dire certo inesperto. Al primo poligono è stato fantastico, con cinque centri su cinque. Il dramma al secondo: ha sbagliato tre volte, poi altre due con i colpi di riserva e con quei due giri di penalità la medaglia è sfumata. Poco ha potuto Pallhuber, che pure alla prima sosta ha sbagliato molto. Già tagliato fuori dalla lotta per l’oro ha chiuso all’ottavo posto staccato di 1’49”. Ma per la Mass Start di sabato, con lui, Vuillermoz e De Lorenzi al via, sono segnali molto confortanti.

di Federico Danesi