Ecco la storia

Giugno 6, 2004 in Libri da Marinella Fugazza

Titolo: Ecco la storia
Autore: Daniel Pennac
Casa editrice: Feltrinelli
Prezzo: € 16.00
Pagine: 312

Pennac Ecco la storiaPrendete un po’ di cromosomi, Rodolfo Valentino e Charlie Chaplin, versateli in alcune scatole cinesi dove avrete già aggiunto la Storia preparata in precedenza e condite con la vita dell’autore: questa è la ricetta usata da Daniel Pennac per “Ecco la storia” il suo ultimo libro uscito lo scorso anno. Chi si aspettava una nuova avventura della sconclusionata, variopinta, travolgente ed unica famiglia Malaussene, non rimarrà, parola di fan “pennacchiana” della prima ora, deluso da questo romanzo che stupisce, come tutti i libri di Daniel, per la fantasia, la capacità di creare situazioni che apparentemente non hanno nulla a che fare tra di loro, la semplicità del linguaggio (grandiosa la traduzione di Yasmina Melaouah), la profondità del contenuto e la chiarezza del messaggio.

Riassumere un romanzo che è un “continuo divenire”, che è un cantiere sulle cui fondamenta si costruiscono numerose e diverse storie che troveranno la loro unione soltanto a lavoro ultimato, è tutt’altro che semplice; inoltre lo stesso autore afferma di non voler creare romanzi che siano brevemente riassumibili . Per cui lascio alle sue parole l’arduo compito della sintesi: “C’è un dittatore in America Latina che assomiglia a Rodolfo Valentino ed è agorafobico perché una strega gli ha predetto che sarà linciato da una folla di contadini. Così decide di venire in Europa a spendere soldi nella grandi città, dove difficilmente si trovano contadini e si fa dunque rimpiazzare da un sosia, che è uguale a lui salvo un epsilon di differenza. Il sosia, interpretando la parte del dittatore, scopre di essere un ottimo attore, perciò decide di dedicarsi alla recitazione e di andare a Hollywood. Per poterlo fare cerca un suo sosia, identico, se non per un epsilon di differenza. Questo secondo sosia scopre che la vita politica è molto meno interessante di quella delle multinazionali che reggono l’economia di un Paese, così decide di andare a Wall Street e di prendere il potere di una multinazionale. Ovviamente, per farlo, si fa sostituire da un sosia, identico a lui salvo un epsilon di differenza. Ormai questo terzo sosia del dittatore assomiglia ben poco a Rodolfo Valentino: le piccole differenze si sono accumulate e la difformità è palese, tuttavia il popolo e la famiglia del dittatore non ne tengono conto convinti che la trasformazione sia da imputare all’usura causata dal potere”. Più che un riassunto questa è la splendida idea sulla quale gira tutto il resto del romanzo ed è anche l’unico punto condivisibile con la precedente perspicace idea del capro espiatorio (ruolo e lavoro del capofamiglia Benjamin Malaussene); sia il sosia che il capro espiatorio vengono messi tra noi e il reale, quando il reale diventa una minaccia. ”Il capro espiatorio nasce quando siamo minacciati dal nostro sentimento di colpevolezza, e più proviamo questo sentimento più ci viene voglia di dare la colpa agli altri. Così in politica, se mi sento minacciato, metto dei paraventi, dei sosia o dei ministri, per esempio, tra il governo e i cittadini. Il primo caso è “responsabile” al posto nostro, il secondo caso è “minacciato” al posto nostro” ha detto Pennac.

In un precedente lavoro, “Come un romanzo”, Pennac si occupava del modo in cui si insegnava a leggere (è professore di lettere in un liceo parigino): con questa ultima fatica letteraria svela a noi, suoi lettori, il modo in cui lui racconta la storia, ci coinvolge nel suo lavoro, ci spiega come costruisce i suoi romanzi, come sceglie i suoi personaggi. Numerosi sono i riferimenti alla sua vita privata: amicizie, amori, esperienze, situazioni, sogni. Tutto ciò riesce ad intersecarsi in modo intelligente ed unico con le storie dei molteplici dittatori di Teresina anonimo, ma indubbiamente reale, stato dell’America Latina. La lettura scorre rapida e rapita, ma ci sono delle pagine sulle quali bisogna soffermarsi a meditare e che hanno la forza di trasportare la mente e la fantasia nella situazione che si sta leggendo. Personalmente sono convinta che, come per un buon cibo, valga più un silenzioso assaggio che un’”elucubrazione” condita di parole; sono quindi lieta di farvi assaporare una pagina tratta dal ricco menù che Daniel Pennac propone in “Ecco la Storia”.

”…E’ stato allora che siamo sbucati sulla piazza rotonda – quella del sogno di Pereira – e abbiamo intravisto, laggiù, dall’altra parte, il bagliore di quel lampione, nel mio ricordo l’unico della città. Fu una vera sorpresa, e le due sagome in piedi sotto il lampione, la rivelazione stessa della vita. La nostra solitudine e il nostro bisogno di luce ci hanno spinti verso quella compagnia. Dal centro della piazza si distingueva meglio la scena: erano due sertanejos appoggiati a una bicicletta. Le loro gambe gracili ballavano dentro pantaloni laceri e una risata che non udivamo scuoteva le loro spalle. Guardavano ai loro piedi qualcosa che emanava un bagliore livido. Penetrammo sotto la luce del lampione. Non c’era alcun dubbio: il chiarore pallido ai piedi dei sertanejos li faceva ridere. Ridevano con tutto il corpo, ma senza far rumore. Ci attirò anche quell’allegria silenziosa, e quel bagliore danzante, ora nascosto dai loro piedi nudi e dall’orlo sfrangiato dei pantaloni. Era un vecchio televisore. Avevano collegato alla bell’e e meglio la carcassa di una vecchia tivù in bianco e nero all’energia elettrica cittadina. E giuro che funzionava. Stavano guardando la Febbre dell’Oro di Charlie Chaplin. Il primo aveva i gomiti posati sulla sella della bici, l’altro le mani incrociate sul manubrio arrugginito. Entrambi ridevano con una risata muta davanti a un film senza parole. Ridevano guardando Charlot che lottava contro la neve e il vento, ridevano guardando Charlot che si mangiava la scarpa e si succhiava i lacci, ridevano guardando Charlot trasformato in una gallina appetitosa, inseguito dall’amico con la pancia vuota, ridevano guardando Charlot che seduceva Georgia. Ed ecco che ora noi ridiamo con loro perché Charlot ha piantato due forchette nei panini e li fa ballare per i begli occhio di Georgia. Ma Georgia non verrà, è un sogno, Charlot si è addormentato sulla tavola imbandita che lui ha apparecchiato invano, Georgia b
alla con altri in un saloon, e Charlot, addormentato nella sua capanna deserta, sogna la danza dei panini, e noi continuiamo a ridere, loro due che non hanno mai visto dei panini, e tanto meno delle scarpette da ballerina, e noi quattro che non abbiamo mai avuto fame, ridiamo insieme con la stessa risata silenziosa, negli stessi momenti, davanti alle stesse immagini, ridiamo delle stesse gag, di quell’inesauribile comicità per affamati, di quella buffoneria da solitari, ridiamo insieme nella notte di Teresina, di cui non abbiamo mai visto niente, dove non ritorneremo mai, Teresina divenuta improvvisamente capitale del mondo. “Là è la vita” si disse fuggevolmente Manuel Pereira da Ponte Martins, nel suo sogno. E là si è aperta la finestra della mia storia
”.

di Marinella Fugazza