Nemico del popolo
Gennaio 11, 2004 in Libri da Stefano Mola
Sony Labou Tansi, “Nemico del popolo”, epoché, pp. 185, Euro 12,00
La casa editrice epoché, da poco in libreria (ne abbiamo parlato recensendo gli Onori perduti di Calixthe Beyala), ci offre ora “Nemico del popolo” di Sony Labou Tansi, nato a Kinshasa e scomparso prematuramente nel 1995.
Questo romanzo racconta la storia di un uomo, Dadou, e delle persone che finiscono per orbitargli intorno. Dadou è stato un calciatore di grandissima fama, quasi un eroe nazionale. A causa di un infortunio ha dovuto abbandonare il calcio. Noi ne facciamo conoscenza nella seconda fase della sua vita, quando occupa il ruolo di direttore in una scuola femminile “unicamente perché l’insegnamento era il solo ramo dell’albero amministrativo dove lo schifo era meno schifo, l’assurdità era meno assurda e l’intellettuale era meno coglione” [pag. 18].
Ha 39 anni. È sposato con una donna che gli piace, ma non alla follia: “una donna, per amarla alla follia, bisogna che vi manchi un po’, che ogni tanto vi sfugga. Lei invece gli apparteneva troppo, come fosse una parte del suo corpo” [pag. 34]. Ed è ancora un bell’uomo. Non è soltanto una questione di vigore fisico, quanto di fascino virile. Dadou sembra essere forte dentro, di una forza morale che riesce a non sconfinare nel moralismo. Per usare le sue stesse parole, un sospetto di virtù. È proprio per questo “sospetto di virtù” che lo hanno nominato direttore di una scuola femminile.
Ma lo “schifo”, che abbiamo già trovato nelle citazioni precedenti, lo sta sommergendo. È come un liquido vischioso che permea tutto e tutti, come se fosse capace di penetrare da ogni orifizio del corpo, da ogni crepa o fessura. Più che una origine politica, ha una connotazione fortemente esistenzialista, una specie di fallimento dell’umanità, un vuoto morale. Dadou deve guardarlo da vicino quando incontra la bellissima Yaveldé, studentessa della sua scuola. Innamorata di lui, come quasi tutte. Non è facile resisterle: “una gran massa di capelli neri – rigorosamente soffici, una faccia stupenda e che gli apriva come le porte di un universo sconosciuto: il mento tenero, feroce, provocante, come fosse là per caso, semplice – e, in cima a quel mondo strano, degli occhi da togliere il respiro, degli occhi ben vivi, bestialmente frivoli. Il seno balzava alla conquista del vuoto. Aveva un buon odore – un profumo pesante di leggerezza. Nella notte, sembrava illuminare la vettura e dava alle cose aspetti liquidi. Un vero incanto.” [pag. 27].
Cedere a questa attrazione irresistibile per Yaveldé, che Dadou si sforza di considerare solo una ragazzina cercando di negare a se stesso la sua inequivocabile natura di donna, significherebbe per lui fare un altro passo verso lo schifo dilagante. E c’è anche la sorella, Yealdara, non meno bella, anche se incapace di provocare in Dadou lo stesso sconvolgimento interiore. Dadou cerca di resistere, di non tradire, di mantenersi integro, quasi in apnea rispetto allo “schifo”, ma non potrà evitare di scivolare nell’alcool. Come finirà Dadou imprigionato in questo triangolo, appeso al filo della sua famiglia e sullo sfondo di una società violenta e corrotta lo lasciamo scoprire al lettore. Anticipiamo soltanto che il triangolo avrà ben presto uno scioglimento tragico e violento, che lascerà delle scorie profonde in chi resterà, destinate a segnare le vite sino allo scioglimento finale. Che potrà essere raggiunto soltanto dopo una immersione negli inferi della corruzione e delle lotte per il potere che si svolgono tra le diverse fazioni.
Sony Labuo Tansi ha saputo darci una versione forte e intensa di una storia in fondo assai comune: come reagisce un uomo sposato, ancora dotato di vigore e fascino, all’attrazione per una donna giovane nel pieno dell’esplosione della sua sensualità? (il bello della letteratura non sta soltanto nelle infinite diverse storie, ma anche nelle infinite variazioni della stessa storia).
Il problema ovviamente non è soltanto erotico, è anche morale. Come tale, viene inquadrato da Tansi nella visione di una società intera. Non nel senso di slogan rimasticati quali “il privato è anche politico”, ma ancorando saldamente i personaggi all’ambiente in cui si muovono. Al tempo stesso, rifugge dal facile alibi che potrebbe risiedere nel mostrare azioni e pensieri dei personaggi come semplici e meccanici prodotti dell’ambiente in cui sono cresciuti e vivono. Nell’universo descritto da Tansi, la libertà di coscienza e di scelta esiste eccome, anche se il prezzo del tentativo di mantenersi integri è altissimo, perché la riserva di forza interiore può non essere sufficiente a mantenersi intatti da ogni lato.
La vicenda di Dadou assume una valenza esistenzialista, e una dimensione profondamente tragica, tanto da non far sfigurare l’accostamento alla tragedia per antonomasia, quella greca. Il conflitto tra pulsione e moralità, e conseguente disperata ricerca di redenzione, viene reso da Tansi con una forza espressiva notevolissima. Lo scrittore congolese ha la capacità di andare dritto dentro le cose, di rovesciarle sul tavolo così come sono, come se fossero delle interiora, mantenendosi al tempo stesso lontano dal compiacimento per la rappresentazione dello “schifo” fine a se stessa. C’è una visione molto dura, ma al tempo stesso molto umana, una umanità dolente, come distillata, quel che resta dopo che tutti i facili sentimentalismi sono evaporati nell’alambicco.
Sullo sfondo c’è infatti la percezione di quello che potrebbe essere e invece non è: “questo è il paese dove ci sono le cose più tenere del mondo. Il cielo, il fiume, l’erba – tutto è tenero. Ma è su questa divina tenerezza delle cose che gli uomini si uccidono: fa sbiellare un po’ pensare che ci si immoli sulla festa delle esistenze” [pag. 151].
Il cammino di epoché è quindi iniziato molto bene. Le va reso merito per la scelta coraggiosa di portare nelle nostre librerie autori che altrimenti sarebbero rimasti patrimonio forse solo di cui sceglie all’università letteratura africana. Questi primi due romanzi sono la dimostrazione che leggere gli autori di quelle terre al tempo stesso così vicine e così lontane non è per nulla un esercizio di folclore, ma di vera letteratura.
di Stefano Mola