…en plein air

Maggio 8, 2006 in il Traspiratore da Redazione

Il Traspiratore N° 57 - Pagina 3Montmartre. Altura che offriva un dolce panorama di Parigi, abbracciata dai mulini a vento, meta di scampagnate per allegre combriccole di giovani. Se ne sente ancora l’eco, anche quando diventa sobborgo con scanzonate sale da ballo, preferite in particolar modo da artisti, letterati, musicisti e bohémiens. E tra queste, il caffè all’aperto presso il Moulin de la Galette, un vecchio mulino in disuso dal XVII secolo, è lo sfondo perfetto per un ballo di giovani qualunque nei loro vestiti giornalieri.

Quello che percepisco attraverso ogni singola molecola di questo momento è slancio vitale, arioso, delle stoffe seriche e fruscianti delle dame, leggere accanto ai loro cavalieri danzanti. Ciò che vedo è transitorio e perpetuo movimento dei volti, delle espressioni, persino sospiri mutevoli delle giovani e sguardi fugaci intorno al tavolino e al rustico bicchier di vino, è tutto uno svolazzare di nastrini sulle pagliette di Firenze e di capelli non raccolti delle fanciulle di più tenera età. E questo trionfo di luci cangianti, che si specchiano mobili su ogni superficie riflettente, i lampadari di vetro sottile e le bottiglie più consistenti, si sposa benissimo con la luce che piove attraverso le fronde, baciando qua e là abiti e, di riflesso, visi briosi.

Tutto quello che si percepisce è aria che muove le fronde e le foglie mai ferme organizzano un sottofondo musicale e visivo, veri registi della scena.

1876. Renoir. “Bal au Moulin de la Galette”. Qualcuno dirà «Impressione, non più d’un’impressione», dalla bambina silenziosa, forse un po’ annoiata che sembra guardarmi, ai due giovani che ascoltano assorti qualcosa la cui fonte non è a noi visibile, forse proprio il moto delle fronde e dell’aria, lui in una posizione così precaria, appoggiato al tronco dell’albero; fino ad arrivare al rumore di stuzzicadenti dell’uomo pensoso in primo piano e ai bisbigli d’amore laggiù in fondo.

“Impressione” è quello che aveva detto con disprezzo il critico Leroy, quando nel recensire un’opera di Monet alla celebre mostra di inaugurazione della nuova arte, nel 1874, si rifiutò di riconoscere nel quadro una veduta di Le Havre.

Il bello di queste impressioni è che trasmettono esattamente quell’atmosfera ariosa delle feste, creata dal sorriso e dal motto spontaneo; è la stessa brezza che percorre tutte queste opere, portandoci inalterati i rumori della città e della campagna, la stessa che percorre lo stagno della Grenouillère di Renoir, che muove l’acqua su cui sorge l’ambìto ristorante alla moda, e i papaveri attraverso cui si fanno strada, trovando un sentiero nell’erba alta, Camille, compagna di Monet, ed il figlio ne “I papaveri” di Monet. La stessa aria è mossa da un ventaglio che agita i tutù delle ballerine ne “La lezione di danza” di Degas.

Sono persone sorprese nella pioggia, che ammiccano, pensano, si acconciano i capelli, sussurrano al cagnolino, l’universo fugace ed autentico, istantaneo di quest’arte.

È la stessa aria che muove le bandiere in Rue Montorgueil, densa di gente nel giorno della festa nazionale. Monet, camminando con cavalletto e colori, scoprì un balcone, salì le scale e chiese il permesso di ritrarre ciò che vedeva.

Dipingere en plein air per gli Impressionisti significava non perdere una frazione di quella vita vissuta, un frammento di quella variazione di colore e dell’atmosfera che, costruita in atelier, avrebbe perso gran parte della sua spontaneità. En plein air significava dipingere insieme, per Renoir e Monet, gli stessi soggetti nello stesso momento, per poi studiare e constatare come un’opera non fosse altro che riecheggiamento di un mondo interiore, reazione emotiva del pittore di fronte alle percezioni soggettive. Boulevard, ferrovie, campagne sulle rive della Senna: ovunque era posto accogliente per dipingere en plein air.

Eppure, come un volo, un soffio, questa breve stagione finisce. 1874-1886 è un periodo che si suol dire “di breve respiro”. E per una strana ingiustizia, solo dopo questo periodo gli Impressionisti avranno i riconoscimenti ottusamente negati loro in principio.

A volte succede di scorgere qualche pittore intento, col sorriso trasognato, con la sua tavolozza piccola, in disordine, di quelle che si chiudono in una comoda valigetta, con un cavalletto lungo ed instabile. Può capitare che li notino solo i turisti, i poeti in cerca di ispirazione o gli anziani con i loro nipotini: sono gli artisti della strada, che dentro di loro sanno come varia la luce di minuto in minuto, come fruscia l’aria tra le foglie e sui ponti in città, di stagione in stagione.

Il Traspiratore – Numero 57

di C. Inglese