TraspiCampiello

Luglio 28, 2002 in Libri da Stefano Mola

Franco Scaglia, “Il custode dell’acqua”, Piemme, pp. 272, Euro 14,90

31636(1)Padre Matteo è un archeologo francescano. Presta il suo servizio a Gerusalemme. Una sera, mentre lucida una moneta coniata durante il regno di Tito, un soldato israeliano entra nel cortile della Flagellazione: una persona vuole incontrarlo urgentemente. Inizia così un’avventura che a poco a poco chiama in campo tutte le contraddizioni, le sofferenze, le ingiustizie, gli interessi politici che rendono Israele e la Palestina uno dei luoghi più tormentati della terra. Servizi segreti israeliani, pacifisti, un ricchissimo e misterioso uomo d’affari, lo sceicco, il Custode di Terrasanta, palestinesi, morti improvvise, destini personali che vengono ad intrecciarsi nella Città Santa dai luoghi più lontani (l’Argentina dei desaparecidos, Stromboli), legami familiari che si ritrovano l’uno contro l’altro, possibili significati di mosaici, il collare di un cane…

Una spy story, ben congegnata, ricca di colpi di scena. Ma non solo questo. Un libro ricco di passione e di sofferenza umana, grazie all’articolazione dei caratteri dei personaggi. Padre Matteo, in primo luogo: curioso, umano, attento alle sfumature dei suoi interlocutori, partecipe della loro umanità, razionale senza rinunciare all’indignazione spontanea, si inserisce a buon diritto nella categoria letteraria di coloro che si fanno indagatori loro malgrado. Attraverso i suoi occhi, ci viene restituita con grande intensità la città di Gerusalemme, nel suo tormentato presente e nei suoi echi millenari. Significativo e molto bello da questo punto di vista il capitolo intitolato “La passeggiata”: dalla via Dolorosa e l’incontro con il soldato israeliano che gli offre il caffè e gli racconta delle coltivazioni nell’insediamento da cui proviene, al muro del pianto con il canto del soldato accecato in battaglia, e poi, andando verso Sion per pregare nel cenacolo, un cortile che si apre d’improvviso, lo spettacolo della natura, fiori e piante da frutto, cosicché dopo il dolore uno squarcio d’amore universale si dischiude, all’incontro con una maestra che sgrida un bambino riportando il sentimento alla sfumatura del dolore, alla consapevolezza della difficoltà della pace. E poi San Giacomo Maggiore, la Cittadella.

Da queste poche citazioni si vede come la parola intreccio valga come etichetta di questo libro a molti livelli. Prima di tutto, perché abbiamo a che fare con una spy story. In secondo luogo, perché Gerusalemme è essa stessa intreccio drammatico di religioni, di storia, di politica, di contraddizioni. In terzo luogo, perché Scaglia ha la capacità di dare uno sfondo estremamente solido ai personaggi: di tutti viene delineato il percorso, il prima, il bagaglio di vicende che li ha condotti lì, aiutandoci a capire i perché di azioni e motivazioni. E qui sta appunto il terzo livello di intreccio: quello tra le storie personali.

Ci troviamo quindi di fronte a un libro estremamente attuale (verrebbe da dire purtroppo, pensando alle notizie che ci arrivano tutti i giorni da Israele e dalla Palestina, e anche oltre, visto che di problema dell’acqua si parla…). Non soltanto una spy story, genere comunemente classificato “di evasione” (come se evadere verso altro grazi a un libro fosse un male invece che una delle mille possibilità che la lettura ci offre) ma uno spunto di riflessione, una speranza di pace. E non è detto che dopo questo suo finale leggermente “aperto”, Scaglia non ci offra prima o poi un seguito…

Una nota di merito infine per Piemme, che dà spazio a libri così diversi eppure così fortunati. Penso, oltre a “Il custode dell’acqua”, a “La donna delle Azzorre” di Romana Petri (recensito da Traspi). Uno in finale per il Campiello, l’altra al Grinzane.

di Stefano Mola