OSN: Wagner e Mahler

Novembre 15, 2005 in Spettacoli da Stefano Mola

IL PROGRAMMA

Dopo aver ascoltato la scorsa settimana la Quarta Sinfonia di Schubert e la Quinta di Mahler sotto l’impeccabile e bellissima direzione di Jukka-Pekka Saraste (che meravigliosa gestione dei volumi sonori, dal pizzicato al fortissimo, soprattutto in Mahler), il 17 (alle 20:30) e il 18 (alle 21:00) Novembre ci aspettano l’Idillio di Sigfrido di Richard Wagner e Das Lied von der Erde, sinfonia per contralto, tenore e orchestra ancora di Gustav Mahler. Per il quale, vogliamo spendere qualche parola in più del solito.

AMICO MAHLER

MahlerQuesto è l’appellativo che l’OSN gli riserva nei programmi, quando ne esegue le opere. E l’affetto si sente. Basti ricordare come sotto la guida di Saraste, è stata resa la Quinta sinfonia: un’esperienza profonda e toccante. Possiamo chiederci: Mahler, è anche amico nostro? Se con questo intendiamo qualcuno che ci è vicino, perché in grado di parlarci e di condividere come e cosa siamo, la risposta è si. Perché è moderno, nel senso che sa ancora suscitare in noi emozioni che ci appartengono, anche a quasi un secolo di distanza. Non che la sua musica sia facile, non perché sia melodico, e non solo perché, tra chi ha scritto musica nel 900, è ancora ascoltabile al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori.

La sua musica è ricca di commistioni, attraversa una gamma molto ampia di sentimenti e sensazioni. Si contamina con il basso, ci sono bocconi smozzicati dalla musica di strada (quella del suo tempo, ovviamente): questo è il suo lato grottesco. Aspetto indubitabilmente moderno: i nostri tempi sembrano aver annullato tutte le barriere, nell’accanimento di frullare ogni cosa (basta accendere la televisione per capirlo). Tutti sembrano fare tutto tranne che interpretare il ruolo scritto nella carta d’identità. Tutti hanno un risvolto da sepolcro imbiancato. Siamo un enorme affresco di Grosz.

Ma la consapevolezza della contaminazione, e la conseguente definitiva perdita dell’innocenza, non impediscono una ricerca disperata: il vagheggiamento della dolcezza, l’aspirazione all’abbandono, al lirismo, l’illusione dell’annullamento amoroso (ecco come possiamo leggere per esempio l’adagietto della Quinta). Qualcosa che forse c’è stato, ma di cui non siamo neanche più bene sicuri, e la cui riconquista sembra impossibile, illusoria. Anche questo fa parte della tavolozza dei nostri giorni.

Su questi due poli, il grottesco e l’aspirazione all’innocenza, si allarga però un’ombra tragica: c’è spesso un richiamo alla marcia funebre, un senso di sconfitta cosmico. Se in Beethoven il conflitto e il tragico sono assai presenti, nondimeno sembrano iscriversi in un quadro di regole certe. C’è sicuramente un destino, un fardello che ogni uomo deve assumersi, con un esito che può anche non essere happy end: ma questo fa parte del gioco, del cielo stellato sopra di me e della legge morale dentro di me. Tanto che verso la fine, un uomo seriamente provato dalla sordità e da una costante difficoltà di rapporti umani riesce a scrivere un inno alla fratellanza carico di speranza quale la Nona Sinfonia (con cui l’OSN ha omaggiato i suoi abbonati nell’aperitivo della stagione).

In Mahler questo quadro di riferimento certo non esiste più. C’è un magma doloroso e inestricabile. Sicuramente c’è un esito, su cui però la volontà individuale nulla può. E la certezza di questo esito è l’annullamento, la morte. Ma non c’è null’altro. Nessuna possibile costruzione di significato, al di là del terrorizzante dato fattuale della caducità. Nella tragicità di Mahler non c’è beethoveniana eroica grandezza, perché il tarlo del grottesco sotterraneamente ha corroso tutto.

Così, se per Beethoven comunque è possibile scrivere la Nona, a Mahler, verso la fine della sua vita, in un momento drammatico e doloroso sia sul piano privato (la morte della figlia, la separazione dalla moglie) sia sul piano pubblico (violenti attacchi della stampa), che cosa può restare? Un tentativo di fuga, di distacco: ecco Das Lied von der Erde.

DAS LIED VON DER ERDE

cineserieLa fuga, il distacco dal mondo possono forse realizzarsi guardando verso altri orizzonti, verso altri tempi: l’antico oriente, la Cina. Nell’estate del 1907, Mahler si interessò a un libro di poesie: Il flauto cinese. L’autore, Hans Betghe, che non conosceva la mandarinica lingua, l’aveva scritto adattando molto liberamente traduzioni francesi di poeti cinesi dell’ottavo secolo.

Tra questi, un ruolo importante spetta a Li T’ai Po, soprannominato il principe della poesia, alto ufficiale della corte imperiale, che prediligeva il canto dei piaceri del vino e la gioia dell’amicizia. Il primo, il terzo, il quarto e il quinto dei componimenti di Das Lied von der Erde sono di Li T’ai Po. I restanti tre (sono infatti sette le poesie musicate in quest’opera) appartengono a Ts’ien Ts’i, a Mong-Kao-Jèn e a Wang-Wei. I canti di questi ultimi due furono combinati da Mahler e utilizzati nel finale, con l’aggiunta di alcuni versi di suo pugno. Il segno dominante è la malinconia. È come se Mahler ritrovasse una pacificazione guardando di lontano, da una prospettiva ultraterrena. Un commiato, sereno, ma pur sempre un commiato.

La peculiarità di quest’opera è anche formale, nella fusione apparentemente impossibile di due generi antitetici: il lied, con la sua dimensione privata, intima, limitata nella durata e nell’organico; e la sinfonia, con la sua dimensione orchestrale, estesa, sociale, se vogliamo. Non abbiamo a che fare infatti con un ciclo di lied, ma con una immersione del lied in una matrice sinfonica. L’organico è imponente, ma sono ben presenti sfumature intimistiche, anche grazie a strumenti quali l’arpa e il mandolino. Qua e là, soprattutto nei movimenti veloci, fa la sua comparsa una scala pentatonica.

Per un’analisi più approfondita dell’intera opera, raccomandiamo senz’altro una visita a questo ottimo Sito (purtroppo solo in inglese). Per il testo delle poesie (c’è l’originale cinese, la traduzione francese, la rielaborazione in tedesco fatta da Betghe), c’è invece, ancora in inglese, MahlerArchives, con anche belle immagini di stampe cinesi.

GLI INTERPRETI

TateSul podio, uno dei più attenti interpreti mahleriani: Jeffrey Tate. Forse non caso, avendo convissuto con la sofferenza fin dall’infanzia passata tra un’ospedale e l’altro a causa di una spina bifida e scoliosi. Laureato in medicina, ha poi scelto la musica. Nel 1976 è stato assistente di Boulez a Bayreuth per il Ring e nel 1978 ha esordito come direttore all’Opera di Göteborg con la Carmen. Direttore, dagli anni Ottanta, al Royal Opera House Covent Garden di Londra, è stato nominato Direttore principale della English Chamber Orchestra nel 1985 e Primo direttore ospite dell’Orchestre National de France nel 1989. Dirige abitualmente le grandi orchestre londinesi, la Bayerischen Rundfunkorchester, i Berliner Philharmoniker, la Filarmonica della Scala, la English Chamber Orchestra, la Filarmonica di Rotterdam, l’Orchestre de la Suisse Romande, l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, la Filarmonica di Los Angeles, le Orchestre Sinfoniche di Boston, Cleveland, Toronto, Montreal. Primo direttore ospite dell’OSN dal 1998-1999, nelle ultime stagioni sinfoniche ha condotto l’Orchestra della Rai in importanti produzioni come la Creazio
ne di Haydn (gennaio 2000), le Scene dal Faust di Schumann (gennaio 2001), i Maestri cantori di Norimberga di Wagner (aprile 2002), la Messa in si minore di Bach (febbraio 2003) e Il Paradiso e la Peri di Schumann (gennaio 2004). Dal settembre 2002 ha assunto l’incarico di Direttore Onorario.

BreedtLe due voci di Das Lied von der Erde appartengono invece al contralto Michelle Breedt e al tenore Robert Gambill. Sudafricana, Michelle Breedt ha completato la sua formazione musicale in Germania, all’Opera Studio di Colonia, unendosi in seguito alla compagnia del Teatro di Stato di Braunschweig. Ha un repertorio esteso che comprende i ruoli mozartiani così come quelli del belcanto, ma anche Carmen e la wagneriana Brangäne (per non citarne che alcuni). Nel 2006 interpreterà Fricka nel nuovo allestimento del Ring di Bayreuth.

GambillRobert Gambill ha invece trionfalmente debuttato nel Tannhaeuser dell’Opera di Stato di Berlino nel 1999, ruolo che è diventato un po’ il suo marchio di fabbrica (dopo Berlino, Madrid, Monaco, Tolosa, Dresda, La Scala di Milano). Tra i personaggi del suo repertorio troviamo anche Florestan, Siegmund, Max and Parsifal. Ha già cantato Das Lied von der Erde a Cleveland, Praga, e ai Festival di Edinburgo e Salisburgo.

di Stefano Mola