XXXIII Premio Gran Giallo Città di Cattolica

Luglio 26, 2007 in Libri da Redazione

Barnbara BaraldiSi è appena conclusa la XXXIIIesima edizione del Premio Gran Giallo città di Cattolica.

Il premio, ideato dal Enzo Tortora nel 1973 e riservato ai racconti gialli inediti, è considerato uno dei più prestigiosi a livello nazionale, e vanta fra i suoi vincitori scrittori del calibro di Bruno Gambarotta, Loriano Machiavelli e Andrea G. Pinketts.

Verbale del premio

La Giuria del XXXIII Premio “Gran Giallo Città di Cattolica” composta da: Mario Guaraldi, Luciana Leoni, Igor Longo, Carlo Lucarelli, Valerio Massimo Manfredi, Marinella Manicardi, Andrea G. Pinketts, Simonetta Salvetti, dopo aver attentamente vagliato i racconti pervenuti, ha deciso di assegnare il premio per il miglior racconto giallo di ambientazione italiana a:

  • UNA STORIA DA RUBARE di Barbara Baraldi, con la seguente motivazione: “Per la capacità di raccontare la storia di una proiezione e di un disagio senza perdere la freschezza devastata di un’ età da battesimo di sangue. E buon sangue non mente”.

    La Giuria ha deciso inoltre di segnalare:

  • DIETRO LE PALPEBRE di Andrea Roscigno, con la seguente motivazione: “Asciutto, intenso e ironico, il racconto evolve con insolita poeticità senza mai scadere nel patetico e sviluppando una inquietante ipotesi di delitto sintonico”.

    Il racconto vincitore sarà pubblicato sul Giallo Mondadori in uscita ad agosto (e in edicola per due mesi, agosto e settembre), di Claudia Salvatori dal titolo “Il sorriso di Anthony Perkins”, supplemento al Giallo 2933 di agosto.

    Intervista a Barbara Baraldi

    D: Barbara Baraldi vince a Cattolica. O meglio: scardina Cattolica con un racconto che ha la forza di un piede di porco. Barbara volevi buttar giù i denti a qualcuno?

    R: Ho cercato di esprimermi senza censura. Il racconto è in qualche modo il viaggio nell’anima di una ragazzina, un tuffo a capofitto nell’adolescenza ferita di una diciassettenne che vive nella provincia addormentata, un grido muto di sofferenza. Il male di vivere accentuato da una quotidianità schiacciante e impietosa come un pungo nello stomaco.

    D: Cominciamo dalla cornice, come si fa con i puzzle. Un quotidiano ha scritto “…il lato oscuro della bassa emiliana…”. Cos’è la “bassa emiliana”, sei tu?

    R: La bassa emiliana dove sono cresciuta mi scorre dentro, è linfa vitale che ha plasmato la mia essenza. Una terra di contraddizioni, piena di sfumature. Paesini interni, paesaggio piatto, apparentemente statico che nasconde anime inquiete risvegliate al suono martellante di Emilia Paranoica dei CCCP.

    barbara baraldi D: Nel tuo racconto “Una storia di rubare” il delitto sembra essere solo il pretesto per raccontare molto altro.

    R: Volevo raccontare il disagio psicologico della protagonista in primis. Il racconto si sviluppa in un crescendo di ansia in cui lei interagisce come può con il mondo esteriore, rinchiusa in un labirinto soffocante fatto di allucinazioni, desideri mai appagati, paure, desolazione psicologica. I personaggi sono deformati dai suoi occhi sperduti: in questo scenario il delitto diventa quasi il contorno, il silenzio che segue al rumore assordante e lacerante di un’esistenza tormentata.

    D: Il tuo racconto è giallo o è nero? Ma soprattutto: cosa direbbe Agatha Christie se leggesse “Una storia da rubare”?

    R: E’ giallo come il mistero celato dietro gli occhi stretti dello sconosciuto incontrato in discoteca. E’ nero come la dark room dove tutto può succedere, come gli abiti, lo smalto che tinge le unghie e l’ombretto che nasconde gli occhi della piccola e introversa protagonista, come il cielo senza luna a cui lei alza lo sguardo. Agatha Christie forse apprezzerebbe il finale che in qualche modo capovolge tutto, almeno mi piace pensarlo. O forse darebbe fuoco alle mie parole per accendersi un sigaro.

    D: Se realizzassero un corto sul tuo racconto che musiche vorresti di sottofondo?

    R: Una colonna sonora stile quella de “La dama rossa uccide sette volte” di Emilio P. Miraglia. Me la farei comporre da Stefano Agnini e Gabriele Guidi Colombi di Ebstudio che hanno già trasportato musicalmente il mio primo romanzo “La ragazza dalle ali di serpente”.

    D: In questo periodo sei in giro per la presentazione del tuo romanzo “La ragazza dalle ali di serpente”…

    R: Il romanzo è uscito da poco e sto concludendo in queste settimane il tour promozionale. Più che di presentazioni si è trattato in qualche modo di collaborazioni e contaminazioni artistiche con musica e fotografia per accompagnare le letture dei brani. Mi piace pensare al mio primo libro come una citazione in chiave metropolitana moderna del film “Vampyros lesbos” di Jess Franco, di cui ho apprezzato anche la formidabile colonna sonora. Si tratta di una storia d’amore gotica tra due ragazze molto diverse tra loro. Nello sfondo centri sociali e serate dark di una Bologna notturna e in qualche modo governata dal fato.

    D: Perchè per “La ragazza dalle ali di serpente” hai usato lo pseudonimo Luna Lanzoni?

    R: Perché Luna è il nome che mi sono scelta da anni e con cui sono conosciuta nell’ambiente dark e poi la luna è il pianeta simbolo della donna, mutevole e sfuggente.

    D: Chi è la ragazza dalle ali di serpente? Sei tu o una delle modelle che posano per i tuoi servizi fotografici?

    R: La ragazza dalle ali di serpente rappresenta un personaggio femminile irrequieto, che riesce a rimanere pulito e poggiare le basi del suo equilibrio sul concetto stesso di transitorietà. Le ho regalato qualcosa della mia essenza ma racchiude in qualche modo anche tratti delle modelle che fotografo nei miei servizi. Principesse gotiche ingenue ma spietate.

    Photo courtesy of Carmine Stellaccio

    di NoHope4U