Verderame
Aprile 14, 2008 in Libri da Stefano Mola
Titolo: | Verderame |
Autore: | Michele Mari |
Casa editrice: | Einaudi |
Prezzo: | € 16,50 |
Pagine: | 164 |
È un’estate precisa, quella raccontata da Michele Mari nel romanzo Verderame, con cui l’autore è finalista al Premio Grinzane Cavour 2008. È il 1969: ne troviamo una eco negli sceneggiati televisivi guardati con attenzione sacrale dai nonni del protagonista, Michelino, che trascorre le vacanze nella loro casa, in provincia di Varese.
È un’estate dominata da una figura ben precisa, quella di Felice, che da sempre si è occupato dei lavori nell’orto e nella manutenzione di quella casa. Un uomo dalle caratteristiche quasi mitologiche, primigenie. Si esprime solo in dialetto, beve moltissimo, è affezionatissimo al narratore protagonista, ed è ossessionato dalle lumache. In particolare da quelle che lui chiama francesi, e di cui compie strage in maniera ossessiva.
Da questo, e dalla sua progressiva perdita della memoria, prende le mosse la storia. Il suo dramma è non ricordare più i nomi delle cose, e conseguentemente, non saperle più riconoscere. Dimenticarle significa non potersi più orientare nel mondo, perdere quel codice ma condiviso che ci permette di stabilire un rapporto con gli altri. Michelino cerca di aiutarlo, insegnandoli una specie di neo-rinascimentale teatro della memoria. Parallelamente a questo affondare nel bianco, affiorano in lui frammenti di discorso al tempo stesso assurdo e coerente. Intere frasi in perfetto francese. Brandelli di storie: esuli russi, francesi che parlano sottoterra, scheletri in divisa nazista.
In Michelino convivono un profondo affetto per questa specie di orco e il desiderio di scoperta. Come un adolescente di Stevenson, inizia così per lui una ricerca appassionante, un giallo interiore che vira sul noir. Sfiorando il tema del doppio, la labilità della memoria, il suo confine incerto con il territorio dell’invenzione.
Tra le cose più convincenti di questo romanzo sicuramente la qualità di scrittura. La lingua di Michele Mari è precisa, ricercata senza sembrare sofisticata. Necessaria, mi verrebbe da dire. Un italiano che fa molto piacere leggere, una parola scritta che a me personalmente dà fiducia. Mi piace che non si abbia timore della parola cosiddetta difficile e che al tempo stesso non ce ne si faccia vanto: la si usa perché serve. Mi sembra qualcosa di cui abbiamo bisogno, e non solo in letteratura.
di Stefano Mola