“Vatel”, la crudeltà del cerimoniale
Febbraio 12, 2001 in Cinema da Redazione
VATEL (F-GB 2000) di Roland Joffé, con Gerard Depardieu, Uma Thurman, Tim Roth e Julian Sands.
In nessuna cinematografia contemporanea un attore è così rappresentativo di una generazione come lo è Gerard Depardieu in Francia. Il suo carisma e la sua recitazione sono fuori discussione, il suo peso specifico (lungi da me qualsiasi tipo d’ironia) è monumentale, totemico. Ed al monumento-Depardieu è toccato interpretare il ruolo di François Vatel, maestro di cerimonie del principe di Condé, nell’ultimo film di Roland Joffé, già autore, in passato, di un altro imponente film in costume, “Mission”.
Siamo nel 1671, al castello del Principe di Condé è imminente la visita del Re Sole. domain generator site headers . Per ingraziarsi Luigi XIV, il Principe ha affidato la “regia” del cerimoniale al fido Vatel, artista dalle umili origini.
Il film è costato parecchio, si è parlato addirittura della produzione più costosa nella storia della cinematografia europea. Le scenografie sono una gioia per gli occhi e gli attori non sono da meno.
Depardieu presta la sua vena più malinconica al ritratto di Vatel, personaggio schietto e diretto in un mondo governato dalla doppiezza e dalla falsità. Sulle locandine dei film vi sono spesso indicazioni superflue, recita bene invece quella della pellicola in questione: “Alcuni uomini sono troppo nobili per vivere tra gli aristocratici”.
Vatel viene contrapposto alla miseria morale degli aristocratici, ai loschi sotterfugi della vita di corte, alle bassezze, agli sperperi del cerimoniale. Ed è proprio del cerimoniale che il protagonista diventa maestro e vittima. I suoi artifici divengono croce e delizia. Da una parte c’è la gioia di vedere inverata la perfezione (o qualcosa di molto vicino ad essa), dall’altra l’amarezza di vedere lo sperpero di ricchezze (e di vite) a favore del divertimento di un re piuttosto meschino.
C’è spazio anche per la bella ed algida Uma Thurman, che torna dopo dieci anni al film in costume (esordì in “Relazioni pericolose” del 1989), mentre Tim Roth si adegua una volta ancora, e con immutato talento, alla sua fama di cattivo eccellente.
Joffé che aveva mostrato in “Mission” gli abusi degli spagnoli a danni degli indios, ci mostra stavolta tutta la crudeltà e l’insensatezza del cerimoniale, unico ed insindacabile strumento di promozione o retrocessione sociale. Nella società di corte della Francia del Seicento i rapporti di potere erano regolati dall’etichetta e dall’apparenza, non vi era spazio alcuno per la sincerità, considerata difetto imperdonabile. A questo conformismo non si adeguò Vatel che il film ci restituisce con la statura di eroico antieroe.
di Davide Mazzocco