Una giornata di sudori mediamente nobili | Sudate Carte Racconti I edizione
Gennaio 26, 2003 in Sudate Carte da Redazione
L’idea di scrivere un brano sul sudore, mi ha soprattutto stimolata ad spiegare quanto esso sia parte integrante della semplice giornata di una studentessa pendolare al Politecnico di Torino; l’intento è stato quello di descrivere quanto il grondare copiosamente liquidi sia una normale prassi, e chiarificare che anche i sudori che paiono più vani possiedono uno scopo profondo. La mia giornata inizia in una cittadina silenziosa, in cui si sentono ancora pochi rumori, molta gente è ancora addormentata o chiusa in casa a bere il caffè; le poche persone che si vedono nella piazza, ancora avvolta nell’oscurità e nella nebbia, sono silenziose e cercano di avvolgersi nei loro cappotti. Attraversando la via poco illuminata, riesco a percepire in lontananza un rumore cupo e borbottante; questo mi spinge ad accelerare la corsa, ed i miei passi si fanno sempre più rapidi, il fiato ansante. Nonostante il freddo che mi sferza il viso e penetra attraverso i vestiti, inizio a sentire il corpo inumidirsi, e mi pare che la condensa del mio fiato si trasformi in una leggera rugiada mattutina, che si espande uniformemente sulla pelle. L’oggetto del mio sforzo sta per abbandonarmi, quando gli ultimi passi mi permettono di raggiungere in tempo il bus in partenza per Torino; sono ansante, e occupo immediatamente posto in un sedile, appoggio lo zaino e mi concedo un attimo di respiro: il calore del riscaldamento mi spinge a svestirmi, poiché mi sento accaldata ed umida come se avessi corso per ore. In realtà, questo è appena l’inizio della giornata, ed ancora innumerevoli corse mi aspettano verso tram e lezioni cui non posso tardare. Il pensiero di ciò che mi attende mi fa battere ancora di più il cuore, e stringo stretta la cartellina che non ho ancora riposto nel portapacchi; considero con preoccupazione che l’intero giorno sarà dedicato alla correzione dei disegni del laboratorio progettuale, un momento importante durante il semestre che è spesso fonte di ansia e grandi accaloramenti. Quando decido finalmente di calmarmi, la mia fronte è quasi asciutta; sentire il corpo lentamente asciugarsi e rinfrescarsi mi porta ad una sensazione di rilassamento che mi fa assopire. Dopo pochi minuti riapro gli occhi, e sono costretta a svegliarmi in fretta: in realtà ho dormito per mezz’ora e sono rimasta avvolta nei miei sonni mattutini. Scendo rapidamente e mi dirigo a passo svelto verso il mio compagno di avventure prediletto, il tram della linea sedici. A lui certamente sono dedicate gran parte delle mie fatiche giornaliere, spesso per lui emetto copiosi sudori con la speranza di non vederlo allontanarsi all’orizzonte, oppure mi costringe a dispormi in un minuscolo spazio, stretta ad altre persone accaldate. Ecco che il sudore dalla parvenza sgradevole sta ritornando, e mi sento nuovamente avvolta da un velo che, quando tornerò a contatto con il gelo invernale, sembrerà congelarsi sulla fronte ed il collo. Finalmente mi trovo nel viale che conduce alla scuola e, stringendo la cartellina zeppa di disegni, mi dirigo verso l’aula: non appena vi entro percepisco un’atmosfera mista di euforia e tensione, occupo il posto vicino alle mie compagne di gruppo ed iniziamo a discutere riguardo ai disegni svolti, o ai lavori che dobbiamo ancora ultimare. Aprendo la cartellina, osservo i disegni che ho realizzato nei giorni precedenti: vi sono alcuni lucidi geometrici e ricchi di china, altri fogli sono invece zeppi di colori e schizzi. Osservandoli con uno sguardo più profondo, li percepisco per ciò che maggiormente significano per me, tanto che mi paiono imbevuti del sudore che si formava nell’incavo delle mani, quando impugnavo saldamente la matita o il pennello. Osservo la parte che ancora devo ultimare per la consegna ed inizio a temere di non riuscire a sfruttare tutto il tempo che mi è possibile, tanto che mi pare che gocce di nevischio inizino a cadermi lungo la schiena, e a sciogliersi come se avessero incontrato una pietra riscaldata dal sole. Io e le mie compagne iniziamo a lavorare con impegno; quando, dopo parecchi minuti, rialzo gli occhi, constato che i disegni sono quasi ultimati, mi accorgo che mi sono agitata eccessivamente, ma che la sensazione di umido scompiglio in cui ero immersa è servita a concedere il meglio di me stessa al mio lavoro. Sto ancora errando nel mondo delle mie gocciolanti riflessioni, quando sento i nostri nomi riecheggiare nell’aula; io e le mie compagne ci spostiamo verso la cattedra rapidamente, quasi con impazienza. Durante la correzione osservo attentamente l’espressione del docente, e trasalgo ogni volta che vedo il suo sopracciglio contrarsi dubbioso, o sento la voce esprimersi in modo perplesso; nonostante cerchi di sentirmi sicura e spavalda in nome della fatica che io e le mie compagne abbiamo impiegato per i disegni, so che mi abbatterei se il frutto di sudori senza fine fosse essiccato da un arido giudizio. Rendendomi conto che il docente giudica abbastanza positivamente il nostro lavoro, una leggera euforia inizia ad occupare il posto dell’agitazione; nei minuti precedenti, la tensione mi aveva irrigidita, chiudendo in me ogni emozione, mentre ora sento l’energia ed il calore divampare nelle guance per la soddisfazione, ed il sudore riformarsi leggero sulla mia pelle. La traspirazione, sotto forma di tante sensazioni, mi ha spinto a dare il meglio di me, come se tentasse di condurre fuori dal mio corpo il pulviscolo che nella mente spesso m’impedisce di vedere il traguardo e capire lucidamente come devo operare. Sedendomi su uno sgabello, realizzo che la parte più faticosa della giornata è passata, e che per oggi posso cercare di trattenere i miei umidi umori; mi rendo conto che il sudore è l’espressione più coerente degli sforzi quotidiani, fisici e mentali, e per questo va considerato una parte mediamente nobile di noi.
di Sara Cuminatto