Un quotidiano senza colore
Marzo 16, 2003 in Spettacoli da Redazione
Si è conclusa la decima edizione del Festival Internazionale Cinema delle Donne. Un anno fa la qualità media dei film presentati nel concorso lungometraggi non aveva nulla da invidiare alle opere presentate qualche mese prima al ben più quotato Torino Film Festival. Quest’anno, invece, viene da chiedersi con quali criteri siano state selezionate le pellicole in concorso. Sia il cinese “Le donne di Shangai” di Xiaolian Peng che lo statunitense “Face” di Berta Bay-Sa Pan sono due opere che parlano della difficoltà di essere madre. Le pellicole sono speculari: se in quella asiatica l’asse portante del plot è rappresentato dall’inscindibile binomio madre-figlia capace di superare ogni ostacolo, in quella americana è la frattura creatasi fra una madre ed una figlia al momento della nascita di quest’ultima a portare avanti un film già visto.
Nell’uno e nell’altro caso manca una sceneggiatura in grado di catalizzare l’attenzione dello spettatore. E’ un cinema che tenta di mostrare i problemi del quotidiano, ma non riesce ad essere né realista, né melodrammatico, al massimo ricorda certi topos (e un certo ritmo) da telenovelas. Non c’è mai un’invenzione di regia, né quella tensione narrativa tipica delle grandi autrici (si pensi a Sally Potter o a Jane Champion). I dialoghi sono una sequela di luoghi comuni. Non ci sono sbavature formali, sgrammaticature filmiche, ma la visione d’insieme è davvero deprimente. Eppure tutti e due i film hanno fatto incetta di premi.
Mise en abîme
“I volti della luna” di Guita Schyfter (costaricana di origine ucraino-lituana) ha messo d’accordo pubblico e critica. La pellicola, inserita nel contesto del Festival Cinema delle Donne, è un’interessante mise en abîme: si parla infatti di un festival cinematografico al femminile. E’ un film corale, diretto con tocco leggero, ma senza superficialità. La bravura della regista sta tutta nella capacità di mescolare il microcosmo delle esistenze delle giurate con il macrocosmo del contesto latino-americano.
Corti, ma intensi
Decisamente confortante la situazione della sezione cortometraggi. Ha ricevuto numerosi applausi “Il mio corpo” di Margreth Olin (premiato nel 2002 come miglior corto norvegese). La regista – che in questo caso è anche interprete – si mette a nudo davanti alle telecamere descrivendo, con un interessante pastiche visivo, quella che è l’insicurezza di una donna circa il proprio aspetto esteriore. Il montaggio frenetico, lo sperimentalismo fotografico e l’ottima colonna sonora ci permettono di addentrarci nell’intimo di un’esistenza pesantemente segnata e condizionata dai giudizi delle altre donne. Un’operazione davvero riuscita, un corto che lascia il segno.
Un intenso gioco di sguardi fra un uomo e una donna nel metrò parigino. Il nucleo forte di “Intimisto” dell’italiana Licia Eminenti è tutto qui. Il pluripremiato cortometraggio già visto alla 58esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia ha come protagonista la bravissima Jeanne Balibar, già apprezzata in “Chi lo sa?” di Jacques Rivette. Con lei c’è anche Giovanni Lindo Ferretti, anima dei Csi. Ventitré minuti di quasi-silenzio per dimostrare che molto spesso non c’è bisogno di parole.
Neanche gli Oscar
Avrebbero dovuto convocare i responsabili del Guiness dei primati. La premiazione di venerdì 15 è stata lunghissima, roba da far concorrenza agli Oscar. Premi del pubblico e della critica, ex-aequo, menzioni, primi, secondi e terzi di categoria, non molte registe sono tornate a casa a mani vuote. Il pubblico (non pagante) si è dovuto sciroppare una sequela infinita di premi e contropremi tutti, ovviamente, accompagnati da motivazione, ovviamente, bilingue. In questa logorroica chiusura di festival persino Giampiero Leo, Assessore alla Cultura della Regione Piemonte, ha fatto la figura del silente e introverso interlocutore.
Le organizzatrici del Festival si sono anche inventate un premio per la migliore nonna.
Bisognerebbe riflettere sulle modalità con le quali viene assegnato il premio del pubblico. “Nunzia” di Giulia Oriani si è aggiudicato la targa per il miglior cortometraggio. Il film era stato presentato nella serata inaugurale ad un pubblico non pagante e, dunque, numeroso. I suoi concorrenti (tutti indubbiamente superiori) avevano trovato spazio nelle altre serate contraddistinte da un’affluenza di pubblico notevolmente inferiore. Essendo il voto quantitativo e non espressione di un giudizio qualitativo, i cortometraggi visti nella serata inaugurale hanno potuto godere di un notevole vantaggio che ha permesso loro di fare la differenza sugli altri. Non è stata una lotta ad armi pari. E’ bene rifletterci su per il futuro.
«Se non facciamo vincere un film messicano come potremo avere i finanziamenti per la prossima edizione?» (“Las caras de la luna” di Guita Schyfter)
di Davide Mazzocco