Tutto il mondo è…sudore | Sudate Carte Racconti I edizione

Gennaio 27, 2003 in Sudate Carte da Redazione

Su era un’anziana gocciolina di sudore che aveva trascorso tutta la sua esistenza abbarbicata sulla spalla di un ormai centenario sacerdote induista.
Era capitata in quel luogo solitario durante un viaggio, molti anni prima, e da allora non lo aveva più lasciato. Si era subito affezionata a quel posto tanto isolato e straordinariamente silenzioso e, nonostante da quelle parti di goccioline di sudore come lei non se ne vedesse quasi mai nessuna, Su non aveva mai sofferto di solitudine.
Trascorreva ogni sua giornata lentamente, con un’invidiabile serenità, immersa nella meditazione e nella preghiera. Quella profonda ricerca spirituale le aveva impegnato ogni attimo della vita e Su non aveva mai permesso che nulla di futile e materiale la distraesse.
Quel vecchio saggio si adoperava molto di rado in lavori manuali e faticosi per il fisico perché, diceva, lo allontanavano dalla spiritualità, dall’ascetismo e dalla perfezione interiore: ecco perché a Su capitava raramente di uscire allo scoperto e di scivolare sulla pelle del sacerdote. Appena ne aveva l’opportunità, però, Su adorava ammirare tutto ciò che Madre Natura aveva creato per arredare il posto in cui il vecchio eremita indiano aveva scelto di vivere. E, d’altra parte, Su non aveva mai sentito il bisogno di qualcosa di diverso da ciò che Madre Natura non avesse già creato.
L’asceta disprezzava tutto ciò che valorizza l’apparire a discapito dell’essere, perciò Su non era mai stata soffocata nella sua vita da una goccia di profumo, né aveva mai avuto a che fare con una scaglia di sapone. Di lì a poco, però, le sarebbe capitato.
Quella sera, infatti, l’eremita si coricò consapevole del fatto che quella era la notte in cui il suo spirito avrebbe abbandonato il corpo logorato dal tempo, per reincarnarsi. La mattina seguente Su si svegliò e si ritrovò nelle vesti di Do, una gocciolina di sudore vivace ed irrequieta, sempre di corsa su e giù per il corpo di un occupatissimo agente di borsa.
Erano già le 7,30 e Do non ne voleva proprio sapere di alzarsi: era consapevole di essere, come al solito, in ritardo, ma chi era davvero in tempo in quel mondo occidentale sempre così frenetico e pieno di impegni? Sapeva anche che l’unico modo per aprire definitivamente gli occhi era quello di affrontare una severa doccia fredda, della quale non era tanto l’acqua a spaventarla quanto l’odore di quell’odioso bagnoschiuma al muschio verde, mescolato al sandalo e con un lieve aroma alla cannella. Era con lui che, anche quella mattina, avrebbe dovuto lottare.
Così, non appena sentì ruotare la manopola del rubinetto, fece appena in tempo a fare un respiro profondo prima di dover incominciare le solite, giornaliere, noiose discussioni: «Questo posto è mio!» esordì Do con convinzione, guardando dritta negli occhi la prima densissima goccia di sapone.
La risposta, però, fu altrettanto secca: «Il tuo odore è sgradevole, la tua faccia è sporca e appiccicosa; io, invece, sono bella e profumata! Cosa aspetti ad andartene?».
Ecco, era di nuovo la stessa storia: quelle maledette gocce di bagnoschiuma riuscivano a farla sentire brutta e inadeguata, perché in quel mondo, saldamente aggrappato ai principi dell’apparire, in cui l’immagine era tutto, non c’era spazio per chi non accettava di essere ripetibile, uguale ad altri centomila e di starsene rinchiuso in un barattolo.
Do era furiosa: avrebbe voluto controbattere, ma la presunzione e l’arroganza dell’avversario la disarmarono. Spalancò la bocca, ma la voce rimase intrappolata nella sua gola. Intanto l’invasore si avvicinava a grandi passi e ad ogni passo a Do sembrava sempre più grosso.
Ora non poteva più aspettare: doveva scegliere se affrontarlo coraggiosamente, ma con la certezza di una sconfitta, oppure se darsela a gambe levate, mettendo prudentemente da parte l’orgoglio.
L’istinto la spinse a voltarsi e ad incominciare a correre, alla ricerca di uno di quei posti che le vecchie, sagge gocce di sudore descrivevano come dei paradisi di serenità.
Corse a lungo, finché non le sembrò di essere finita nel luogo che cercava. Doveva trovarsi proprio dietro ad un orecchio: certo non era il massimo, un po’ affollato, ma almeno lì non la avrebbe disturbata nessuno. Sarebbe rimasta al sicuro fino al segnale e, quando il fruscio dell’acqua fosse terminato, sarebbe migrata di nuovo verso zone meno frequentate.
Passò qualche minuto e finalmente Do sentì il rubinetto chiudersi: la paura era finita e anche quella giornata poteva proseguire allegramente.
A dire il vero c’era ancora un altro fastidioso rito quotidiano ad attenderla, ma perlomeno la pioggia di profumo non la preoccupava. Alcune leggere goccioline di essenza nebulizzata le si posarono addosso, mentre altre si infilarono delicatamente nelle sue narici e, come tante minuscole piume d’oca, gliele accarezzarono fino a farla starnutire.
Quello era l’abito che Do avrebbe indossato per molte ore, sebbene non le andasse per nulla a genio: non riusciva a vederlo che come una divisa, a sentirsi così identica a tutte le sue amiche ed irriconoscibile. E, soprattutto, nessuno si era preoccupato di chiederle se le piacesse prima di obbligarla ad indossarlo.
Ora Do era pronta ad uscire di casa e a tuffarsi nel traffico rumoroso: non appena mise il naso fuori dal pianerottolo riconobbe l’aria gelida grazie ad un brivido che le percorse la schiena e si accorse di essere nel caos della città affollata quando incominciò a respirare tutta una serie di fragranze diverse da quella della sua pelle.
Alcune erano tanto dolci da rendersi nauseabonde, altre tanto acri da pungere, altre ancora le ricordavano dei frutti. Raramente, però, qualcuna di esse era unica e ad ogni incontro Do ricordava quasi sempre di aver già fatto quella conoscenza in un’altra occasione.
Quella mattina, in mezzo alla consueta miscela di odori, Do assaporò un olezzo che prima d’ora non aveva davvero mai sentito: era vigoroso, avvolgente e caldo, ma era, soprattutto, di una singolarità sorprendente.
Do era sicura, questa volta la fabbrica dei profumi non era riuscita a metterci lo zampino.
E aveva ragione: si trattava, infatti, di una gocciolina di sudore completamente nuda, dalla personalità ben marcata, che viaggiava sola e spaesata per la caotica metropoli. Si chiamava Re ed apparteneva al corpo di un valoroso guerriero africano.
Mentre Do si lasciava trascinare dalla folla irrequieta, Re non danzava a tempo col ritmo incalzante della città.
Il forestiero si trovava lì per caso e vi sarebbe rimasto per poco, perché sapeva bene che, dall’altra parte della Terra, la sua Africa lo aspettava. I paesaggi a cui era abituato erano ben diversi da quello che ora gli era davanti. I suoi piedi erano soliti calpestare immense distese di sabbia, la sua pelle godeva nell’essere baciata dai raggi del sole irruente della calda Africa e il suo capo era lieto di avere come cappello un cielo dal blu intenso.
Re ringraziava sempre per aver avuto la fortuna di nascere sul corpo vigoroso di un guerriero. Ogni mattina, infatti, prima di partire per la caccia, il guerriero dipingeva quel corpo di splendidi colori, uno più luminoso dell’altro.
Così ogni sera Re, prima di addormentarsi, provava ad immaginare quale di quelle meravigliose tinte avrebbe calzato per tutto il giorno successivo. Pensava al rosso acceso, il colore del cuore del sole cocente, e all’arancione, il colore delle braccia di quel sole. Sperava di poter indossare il nero, che associava al cielo di notte perforato dal bianco lucente delle stelle, o il giallo, che gli ricordava la criniera dei leoni.
E non appena riapriva gli occhi, all’alba, ecco che una pennellata di uno di quei colori lo ricopriva dalla testa ai piedi e, in fondo, non importava che fosse il celeste, il verde o il rosa perché Re amava davvero tutti i colori della sua terra.
Do era confusa: cosa aveva mai di straordinario quel profumo da poterla colpire con tanta veemenza? E poi, come era riuscito, in quei pochi istant
i, ad evocarle immagini che la sua memoria non ricordava di trattenere?
Eppure ne era affascinata ed era eccitata nel rendersi conto che, poiché si faceva via via più intenso, quel sapore si stava avvicinando.
Non passò che qualche secondo e Do e Re si ritrovarono una accanto all’altro e nell’attimo successivo i corpi dei due individui si sfiorarono. Do non volle, né ebbe, il tempo per pensare; incrociò le dita, fece un salto e cadde sul braccio del guerriero, proprio al fianco di Re.
Incominciava per Do un’avventura in un mondo nuovo, lontano dal suo, ma che, curiosamente, aveva l’impressione di saper già raccontare.

di Delia Berta