TraspiCampiello

Luglio 1, 2002 in Libri da Stefano Mola

Diego Marani, “L’ultimo dei Vostiachi”, Bompiani, pp. 184, Euro 13,00

31426(1)Ivan non parla da anni, da quando il padre è stato ucciso dalle guardie del gulag in cui erano stati rinchiusi. Un giorno, improvvisamente, nel processo di dissoluzione dell’ex Unione Sovietica, il campo di lavoro/prigionia viene abbandonato dalle guardie, cui nessuno paga più lo stipendio. I prigionieri scappano. Ivan ritrova la sua libertà e al tempo stesso una solitudine ancora maggiore. Vaga nella foresta, prova a chiamare ad alta voce i nomi delle persone che ricorda, ma nessuno risponde. Non c’è più nessuno per Ivan con cui parlare. Ivan è l’ultimo dei vostiachi, antica tribù del ceppo protouralico, l’unico ormai a poter parlare questa lingua così primordiale da essere in grado di risvegliare la natura e di comunicare con gli animali della foresta.

Questa prima parte del romanzo è caratterizzata da una profonda malinconia, da scorci di realismo e drammaticità (molto convincente e toccante, senza cadute in facile melodrammaticità è la scena della morte del padre) e al tempo stesso è pervasa da un’atmosfera quasi magica, nella descrizione di questo legame profondo tra la lingua parlata da Ivan e la natura, quasi a dimostrazione di una frase che verrà pronunciata più avanti nel libro dalla linguista Olga: “Tutte le parole sono già presenti nella realtà ancora prima di essere pronunciate”.

È Olga a incontrare Ivan in una locanda cui Ivan si spinge stremato da una tempesta di neve che gli impedisce di cacciare. Olga capisce subito che cosa rappresenta Ivan, conquista la sua fiducia, ne raccoglie le parole, commossa ed entusiasta. Il vostiaco è la dimostrazione di un legame tra il ceppo ugrofinnico e quello eskimo-aleutino, della parentela tra finlandesi e indiani d’america. Decide di portare Ivan al congresso di ugrofinnico che si terrà di lì a poco a Helsinki. La sua scoperta può scombinare le teorie, la carriera e soprattutto il profondo orgoglio nazionalistico di Jarmo Aurtova, suo ex-compagno di studi ed ora cattedratico di successo e gran donnaiolo. Parte così una sequenza di eventi grottesca, generata dal disperato tentativo di Aurtola di impedire che Olga presenti Ivan al congresso.

Diego Marani è al suo secondo romanzo. Dopo “Grammatica finlandese”, con cui ha vinto il Premio Grinzane 2001 (sulle pagine di Traspi.net potete trovare la recensione e l’intervista all’autore) con “L’ultimo dei Vostiachi” approda alla cinquina del Premio Campiello. I temi dei due romanzi sono simili: il problema dell’identità personale, il suo rapporto dialettico con quella collettiva; il facile travalicare di quest’ultima nel nazionalismo con le conseguenze più bieche (si veda il discorso pronunciato da Aurtova al congresso di ugrofinnica nelle pagine conclusive del romanzo). In più, il problema della biodiversità linguistica: nelle parole di Olga, “Per ognuna che muore, un poco di verità si perde […] Il significato delle cose è un luogo nascosto, estraneo a ogni lingua,e ognuna tenta con le sue imperfette parole di raggiungerlo. Da sola nessuna può riuscirci. Servono tutte le lingue degli uomini per tener vivo l’universo” (pag 98). D’altro canto, come è possibile tenere in vita tutte le lingue del mondo? “Una lingua che muore è come un uomo che muore. Per quanto spiacevole che sia, è un fatto biologico […] Come gli uomini, anche le parole devono adattarsi per sopravvivere” è la risposta di Aurtova (pag 99).

L’altro tema nuovo è quello del rapporto tra la natura e la lingua, incarnato come già accennato dal vostiaco, dalla sua capacità di riportare a legami primordiali con la natura, tema particolarmente convincente se ambientato a Helsinki, città certo moderna e tecnologica, ma che della natura non può dimenticarsi mai dovendo convivere con neve e ghiaccio. Mi hanno molto colpito le parole di Olga: “in vostiaco, powakauta significa ‘qualcosa di grigio che corre indistintamente sulla neve: Può far sorridere […] che una lingua abbia una parola per esprimere un concetto simile. Non si sa neppure cosa sia questo qualcosa di grigio. Ma quando il vostiaco sarà scomparso, anche ‘powakauta’ non esisterà più. O meglio, sì, ci sarà ancora nella tundra siberiana qualcosa di grigio che corre indistintamente sulla neve. Ma non ci sarà nessuna parola per raccontarlo”.

Temi importanti, (per me) intriganti, attuali, se vogliamo anche “pesanti”. La bravura di Marani sta proprio nel far passare tutto questo come bigliettini sotto la porta, inserendoli in un contesto comico grottesco (emblematica da questo punto di vista la disputa linguistica tra Olga e Jarmo nella sauna) e grazie a un montaggio sapiente della trama, che, nella parte ambientata a Helsinki, è molto convincente, riuscendo ad annodare quasi in un giallo (con risvolti decisamente noir) e con un ritmo ben dosato diversi personaggi: il lappone sfruttatore di prostitute, la ex moglie di Aurtova e il suo cane, il poliziotto che non riesce a vedere la partita di hockey, fino agli animali dello zoo liberati da Ivan. Volendo trovare un compagno di strada per questo romanzo, certe atmosfere richiamano alcuni film di Kaurismaki (che potrebbe essere il regista adatto per una eventuale trasposizione cinematografica).

di Stefano Mola