Traspi365

Marzo 31, 2003 in Libri da Stefano Mola

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Amélie Nothomb, “Libri da ardere”, Robin edizioni, pp. 63, Euro 5,16

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Io non credo nel destino: però a volte i libri che mi capitano in mano cercano di smentirmi. Ho scelto questo testo teatrale di Amélie Nothomb per una ragione molto semplice e modesta: non avevo mai letto nulla di suo. Amélie Nothomb è un personaggio strano (guardate la sua foto sul risvolto di copertina), curioso anche solo per ragioni biografiche. È nata a Kobe, in Giappone. In estremo oriente ha trascorso la sua infanzia. Ora vive tra Parigi e Bruxelles.

In quest’opera c’è la guerra (come in questi giorni). La scena ha luogo in una città assediata, parzialmente conquistata. L’ambientazione è astratta, non ci sono riferimenti a una realtà o a una nazione riconoscibili. Sono i Barbari ad averla portata, il che accende una eco da caduta dell’impero romano e al tempo stesso suggerisce una specie di equazione: non è importante chi la faccia, il risultato non può che essere barbarie e violenza. E infatti, della guerra si manifestano con concretezza gli effetti impellentemente primari, la messa a nudo di bisogni fondamentali e la negazione della loro soddisfazione. Per esempio, banalmente e terribilmente, non aver di che scaldarsi e di che mangiare.

Questo è lo sfondo; davanti si muovono tre personaggi. Il professore di lettere, il suo assistente Daniel, e la studentessa Marina, amante di Daniel. L’azione si svolge in un’unica stanza, alle pareti un’immensa libreria. In quest’unico spazio, nei dialoghi paradossali e cinicamente ironici dei personaggi, prendono forma domande. Se c’è la guerra, a che servono i libri? Quando si ha freddo, ha senso bruciare i libri per scaldarsi? Anche l’amore, in condizioni disperate, non diventa altro che un modo per trasmettersi calore? È inevitabile che alla fine trionfi su tutto la natura animale dell’uomo? E se proprio non si può fare a meno di gettare i libri nella stufa, quali cercare di salvare, o almeno tenere per ultimi? Un libro “detonatore che serve per far reagire la gente” è meglio di un libro “consolatorio”?

Non voglio, qui e adesso, portare le risposte mie o quelle del libro. È già importante che le domande facciano due passi nelle teste della gente. La cosa migliore è che ognuno provi a fermarle, a guardarle un po’ da vicino, chiacchierarci un attimo. Mi sembra interessante di quest’opera il fatto che un testo, fatto di parole, si interroghi sulla vanità o meno delle parole e che lo faccia in modo non morale, anzi un po’ noir. Non aspettatevi risposte consolatorie o etiche sul valore della letteratura.

Nella mia testa adesso ci sono le immagini di questi giorni di guerra, peraltro comodamente sbirciate dal fronte del divano. Sto parlando di volti e occhi e corpi, indipendentemente dal vestito che hanno indosso. Mi sembra un caso interessante che questo libro mi sia capitato in mano proprio ora.

Se volete saperne di più sull’autrice, ecco alcune risorse in rete:

Sito dedicato a cura della casa editrice Voland

Tre interventi di Lidia, guida Libri-Autori di Supereva:

La presentazione di “Cosmetica del nemico”

Il resoconto di un incontro con i lettori

Una intervista all’autrice

di Stefano Mola