Scrittura Svelata
Gennaio 22, 2006 in Attualità da Stefania Martini
Il Premio Grinzane Cavour ha inaugurato i festeggiamenti per il venticinquesimo anno di attività con il convegno Scrittura svelata. Parole e donne dal Maghreb all’Iran, tre giorni di incontri con scrittrici ed autrici provenienti dai paesi della sponda meridionale del Mediterraneo, dal Medio Oriente, dalla Turchia, dall’Iran e dall’Arabia Saudita.
Tre giorni in cui è stato possibile ascoltare la pluralità delle voci della cultura araba, turca e persiana e riflettere sugli aspetti comuni e sulle profonde differenze che le caratterizzano.
Le autrici che si sono alternate a portare la loro testimonianza ad un pubblico attento ed interessato, sono tra le più importanti esponenti della cultura al femminile nei loro paesi, dove ricoprono, spesso, anche un ruolo fondamentale per il loro impegno sociale a favore dell’emancipazione delle donne.
Differenti per nazionalità, religione, estrazione sociale, età ed esperienze si sono confrontate, per dar luogo ad un puzzle composito e sfaccettato, così come composita e sfaccettata sono la storia e la cultura dei paesi islamici.
Una delle feroci critiche comuni emerse nei confronti dell’atteggiamento con cui il mondo occidentale guarda al mondo arabo ed islamico è, infatti, quello di considerarlo un unicum, annullando le differenze, anche rilevanti, che invece esistono tra le varie nazioni: la cultura, le tradizioni e le esperienze dei paesi del Maghreb sono distanti da quelli dell’Iran, che a loro volta sono profondamente diverse da quelle dell’Arabia Saudita o della Turchia o della Palestina.
E questo stereotipo, questo folcklore politico come lo ha definito Magda El Guindi, giornalista egiziana, questa diffidenza nei confronti di chi presenta tratti somatici chiaramente mediorientali crea una barriera apparentemente insormontabile tra due mondi che, al contrario, hanno bisogno di dialogare, di capirsi, di confrontarsi.
Come ha ricordato la parlamentare diessina ed ex Ministro per le “Pari Opportunità” Livia Turco nel suo saluto alle scrittrici ospiti del convegno occorre abbattere la politica degli stereotipi, dando spazio alle differenze, che sono una ricchezza e non fonte di divisione. L’integrazione tra culture è un percorso e non un modello da applicare rigidamente, come dimostra l’attuale crisi di tutti i modelli di integrazione proposti in Europa. E la conoscenza dell’altro passa attraverso alla scrittura, ed in particolare alla scrittura delle donne che, per i temi che affrontano e per il vocabolario che utilizzano, ha una funzione de-ideologizzatrice.
Ma chi sono le autrici che hanno portato la loro testimonianza di quanto sia difficile, spesso anche sofferto e doloroso, far sentire la propria voce in paesi in cui la figura della donna, e della donna intellettuale in particolare, sta iniziando ad emergere con sempre più forza?
Che tipo di problemi devono affrontare per far sentire la loro voce al di fuori dei confini che non necessariamente sono solo quelli geografici?
L’allontanamento volontario, l’esilio per problemi legati alla situazione politica che viene a crearsi nel proprio paese è uno dei temi che ricorrono in alcune delle testimonianze: quella della scrittrice Aliya Mamdouh, la prima scrittrice irachena pubblicata negli Stati Uniti, che da anni vive a Parigi. Nel suo intervento Tra il divieto e la costrizione racconta la trama del suo romanzo autobiografico “Naftalina”, in cui la protagonista, Huda, vive nella Baghdad dei primi anni ’50. Il passaggio dalla fanciullezza spensierata alla pubertà implica dover indossare la ”abaya”, la lunga veste nera che la ricopre tutta quando compare in pubblico. Contemporaneamente, irrompe nel paese la feroce dittatura di Saddam Hussein.
E per l’autrice non ci sarà altra scelta che quella dell’esilio, dello sradicamento violento dal suo paese, sempre rimpianto, raccontato con struggente nostalgia Commuovono le parole con cui conclude la sua relazione: Io abito a Parigi, ma vivo a Baghdad.
Diverso l’atteggiamento nei confronti della scelta di abbandonare il proprio paese per poter far volare le proprie parole quello dell’iraniana Goli Taraghi, 66 anni, anche lei residente a Parigi, ma che torna ancora a Teheran. Racconta di aver abbandonato la città in cui è nata nel 1980, un anno dopo l’avvento dell’ayatollah Khomeini e della rivoluzione islamica:Viaggio tra Parigi e Teheran, vivo in una costante dualità geografica, dalla mondanità alla tradizione, e questo è anche il mio continuo viaggio interiore. Non riconosco più la mia città, la mia casa, tutte le vie hanno cambiato nome, camminare per Teheran è come guardarsi in uno specchio rotto. Mi rifugio nella lingua. La lingua persiana è la mia casa, è solo lì che trovo pace per la mia dualità.
A Teheran, invece, continuano a vivere e a lavorare, sia come scrittrice di racconti che come drammaturga Nahid Tabatabaj, autrice del romanzo “La veste strappata”, e Farzaneh Karampoor, ingegnere civile di professione, e che si dedica alla scrittura dal ’96. Quest’ultima riflette su quali sono le pressioni cui sono sotto posti coloro che scelgono la via della scrittura in un paese come l’Iran, dove non esistono i diritti d’autore, dove ci sono enormi problemi legati alla possibilità di trovare editori in grado di pubblicare le opere, dove la censura è una scure sempre pronta ad abbattersi.
E la difficoltà di portare avanti la propria opera può scontrarsi con confini estremamente tangibili, barriere molto concrete come può essere un muro alto 8 metri eretto di fronte alla finestra di casa, che impedisce di far spaziare lo sguardo oltre, sui campi e sui prati che delimitano la periferia della città. E’ il “recinto claustrofobico” che deve affrontare ogni giorno Liana Badr che vive e lavora a Ramallah, e la sua siepe che da tanta parte de l’ultimo orizzonte il guardo esclude è il muro eretto dal governo israeliano per impedire che i kamikaze palestinesi penetrino nel suo territorio.
Nelle sue parole traspare netta l’angoscia dell’occupazione, lo sfinimento di una vita scandita nel tempo e nello spazio dai check-point militari che impediscono lo svolgimento regolare di qualsiasi attività per i palestinesi, anche le relazioni amorose.
La letteratura è il ponte che ci lega al mondo, è un atto di libertà, è una sfida enorme: i miei personaggi non devono essere patetici per la loro condizione, hanno la forza e la dignità che l’occupazione vorrebbe distruggere.
Un modo differente di affermare la propria individualità come intellettuali e come donne lo esprimono, invece, le autrici più giovani, come la libanese Joumana Haddad poetessa, scrittrice, giornalista, che nel suo intervento in italiano dal titolo ”Scrittura, donne arabe, cliché e media” rivendica la diversità delle donne arabe utilizzando un linguaggio che può essere giudicato sicuramente trasgressivo.
E’ ora di far cadere definitivamente il cliché presente nell’immaginario collettivo occidentale della donna araba misteriosa, esotica; la convinzione che le donne arabe siano quelle raffigurate, chiuse nell’harem, tutte odalische e danza del ventre. Oggi le donne arabe usano le unghie per conquistare i loro spazi nelle società che le vedono sempre più protagoniste. E la migliore arma per spezzare i tabù è la scrittura.
Anche la poetessa tunisina Amel Moussa esprime nei suoi versi una più decisa rottura con lo stereotipo che da secoli è quello che rappresenta nel mondo la donna araba legata alla scrittura: Shahrazad, personaggio scomodo che al
eggia su gran parte delle autrici.
Con le domande del pubblico, le scrittrici hanno dovuto anche affrontare un altro tema tanto scontato quanto scomodo, quando si parla di donne arabe: il velo.
Come ha sottolineato polemicamente l’egiziana Radwa Ashour: Già il titolo di questa tavola rotonda pecca di orientalismo, perché definire la scrittura di cui stiamo parlando “svelata” richiama immediatamente l’azione di sollevare, togliere un velo, quel velo che molte portano e che annulla la loro identità, rendendole tutte uguali agli occhi del mondo. E si ricade nello stereotipo. E’ ora di dire basta: se la donna, per sua libera scelta, vuole essere velata, lo sia; se vuole mettere il bikini, lo metta!
L’ultima voce chiamata a portare la sua testimonianza è stata quella di Badrya Al Bisher professoressa di sociologia all’Università di Riyadh e giornalista araba.
Sono intervenute, inoltre, Hoda Barakat, Nada Dallal e Mai Ghoussoub (Libano), Latifa Erdogan (Turchia), Nacera Benali (Algeria), Lilia Zaouali (Tunisia) e Farian Sabahi(Iran).
Nell’ambito della cerimonia di designazione dei finalisti della XXV edizione del Premio Grinzane Cavour è stata premiata la scrittrice algerina Assia Djebar autrice, tra l’altro, del romanzo “Donne d’Algeri nei loro appartamenti”.
di Stefania Martini