Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio

Luglio 2, 2006 in Libri da Stefano Mola

Titolo: Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio
Autore: Amara Lakhous
Casa editrice: e/o
Prezzo: € 12,00
Pagine: 189

Scontro di civlitàAmara Lakhous è algerino. È andato via dal suo paese negli anni 90. È giornalista e mediatore culturale. Parla un italiano perfetto (lo abbiamo ascoltato in incontro molto interessante a Lingua Madre, alla Fiera del Libro). Ha scritto questo romanzo prima in arabo (titolo: Come farti allattare dalla lupa senza che ti morda) e poi lo riscritto in italiano (con un titolo altrettanto gaddiano o wertmulleriano anche, volendo).

Il riferimento a Gadda è puramente voluto non solo per assonanza, ma per esplicita ascendenza. La struttura (sarebbe meglio parlare di pretesto) occhieggia al giallo: in un condominio romano, a Piazza Vittorio sparisce un cane e viene ucciso un uomo. Queste due intrecciate vicende ci vengono raccontate attraverso una molteplicità di punti di vista e di registri linguistici. L’iraniano Parviz, che non riesce mai a tenersi un posto di lavoro nei ristoranti e odia chi mangia pizza in pubblico. La portiera dello stabile, Benedetta, ossessionata dall’ascensore. Il bengalese Iqmar, che ha un negozio di alimentari. La padrona del cane, Elisabetta, sospettosa dei cinesi come eliminatori del suo adorato animale. Poi il professor Marini, l’olandese Johan Van Marten, e altri ancora.

Ognuno impegnato a difendere se stesso e a svelare appassionatamente la propria verità, sull’accaduto e sugli altri. Testimonianza dopo testimonianza, emerge però un colossale, ironico, gustoso, divertente intreccio di equivoci. Nessuno riesce veramente a capire l’altro da sé, a partire proprio e clamorosamente dalla sua nazionalità, che spesso viene equivocata. Ognuno poi conficcato saldamente nella convinzione di un colpevole, al di là di ogni prova o ricerca.

Il filo conduttore che inframezza tutti questi punti di vista è Amedeo. Chi è Amedeo? Per tutti, un italiano. Anzi, il migliore degli italiani possibili, l’unico amichevole, l’unico disponibile, l’unico praticante la tolleranza, l’unico attento all’altro in quanto persona, individuo. Amedeo che conosce tutte le vie di Roma. Amedeo sempre pronto a dare una mano. Ma Amedeo è veramente italiano? E che fine ha fatto?

Non ci piace svelare la fine, anche se il fine di questo romanzo non è tanto (o soltanto) la trama. Starà al lettore fare i piccoli gradevoli passi fino allo scioglimento. Attenzione: questo libro poi non è pietistico. Non è un manifesto enfatico del politically correct. Non perché sia politicamente scorretto: piuttosto, affronta la questione assai calda della multietnicità (un affare con cui dobbiamo fare i conti, che lo vogliamo o no, perché è una realtà ineludibile) con il giusto taglio: leggero, ironico, da commedia all’italiana, con uno sguardo affettuoso ai personaggi. Il messaggio passa soprattutto perché non è imposto con pesantezza.

Così sotto al primo strato, sotto la levità, possiamo cogliere il nucleo duro, importante, potenzialmente drammatico: la pesantezza dell’identità, il suo fardello. Qualcosa di cui non possiamo fare a meno, per sentirci meno soli. Ma al tempo stesso, la sua ingannevole facilità. La usiamo per comodità, come una scatola enorme, di fronte all’insicurezza e all’ignoto, al diverso: dentro ci siamo noi e fuori tutti gli altri. Altri che vestiamo di magliette, come i calciatori: gli arabi, i pakistani, i cinesi. A volte anche frettolosamente, senza guardare bene se la maglietta sia veramente quella giusta (come fanno i personaggi di questo libro). Dimenticando di compiere lo sforzo, più gravoso ma assolutamente necessario, di puntare lo sguardo non su uno stereotipo ma prima di tutto su un singolo essere umano.

Queste e altre cose possiamo ricavare dalla lettura di un romanzo che Amara Lakhous maneggia con una sapienza di scrittura ammirevole. Lo aspettiamo con curiosità alle sue prossime prove.

di Stefano Mola