Ricordando Kurt Vonnegut
Aprile 16, 2007 in Libri da Redazione
E’ difficile parlare del proprio autore preferito. Altrettanto difficile è cercare di riassumere in poche righe lo spirito dei suoi romanzi e i cambiamenti che hanno apportato nel proprio intimo. Forse basterebbe mostrare un libro, uno qualsiasi, e indicare le frasi sottolineate, gli asterischi, le annotazioni a margine. Basterebbe riportare una fotografia sullo scaffale preferito, con tutte le copertine di quello scrittore amato in bella vista. Forse tutto questo basterebbe, ma oggi Kurt Vonnegut non c’è più e la mia costernazione è totale, annichilente. Il suo primo libro è capitato tra le mia mani per puro caso, quasi dieci anni fa, e da allora non mi ha mai lasciata.
Kurt ci ha abbandonato martedì 10 aprile, all’età di 84 anni. I media hanno parlato abbondantemente delle tappe salienti della sua vita. Il suicidio di sua madre, la sua depressione lancinante (che lo porterà a cercare di seguire le orme della sua genitrice, fallendo), il suo essere presente ai bombardamenti di Dresda, durante la seconda guerra mondiale, e il suo conseguente rifugiarsi in un vecchio mattatoio. Sarebbe profondamente superficiale fare del suo romanzo più famoso (“Mattatoio numero cinque o La crociata dei bambini”) il suo manifesto. D’altra parte, lo disse proprio lui, anni fa: “Il fatto che io fossi lì, durante il bombardamento, c’entra poco con quello che sono e con quello che scrivo”.
Kurt Vonnegut è molto affermato in America. In Italia, invece, sembra quasi un perfetto sconosciuto. Difficilmente viene trasmessa la sua vera essenza. Perché, forse, non è solo uno scrittore sociale, di fantapolitica, contro la guerra e via discorrendo. E’, prima di tutto, un profondo pensatore. Un poeta. Un uomo che riesce a soffermarsi su ovvietà rendendole particolari, indispensabili. Un uomo capace di pensare da alieno, mostrando le stranezze dei terrestri o semplicemente mettendoci al corrente delle loro strabilianti invenzioni (memorabile la descrizione della scrittura e della lettura, per esempio). Una persona meravigliosa che, pur non essendo felice di vivere nella vita vera, riusciva a far pronunciare frasi disarmanti ai suoi personaggi, come: “Ma se non è bello questo, cosa lo è?”. Magari mentre guardava dei passerotti camminare per il prato. E quegli stessi passerotti, vedendosi costretti a commentare la vita degli esseri umani e soprattutto le grandi tragedie di cui essi si rendono protagonisti, si limitano ad affermare: “Puu- Tiii –uiit”… Che, aggiungeva l’autore, era la sola cosa sensata da dire.
Kurt ha due caratteristiche che lo rendono assolutamente geniale. La prima è la capacità di scrivere libri sul niente. Come il suo “Cronosisma”. Se, nella teoria, vuole trattare dell’Universo che, colpito da una crisi di autostima, decide di ritrarsi, tornando indietro di dieci anni, per poi allargarsi di nuovo, facendo capire agli esseri umani di non avere altra scelta che ripetere gli stessi errori, nella pratica non fa niente di tutto questo. La traccia della storia diviene una scusa per discutere con noi sull’esistenza, mescolando il privato dei personaggi con parte della sua vita, sempre con una dose mai eccessiva di ironia e con una leggerezza carica di intimità. Ed è questo lo spirito, sempre presente, in tutte le sue opere.
La seconda caratteristica che lo fa amare dai propri lettori, è il suo cosmo personale. Kurt ha costruito una realtà parallela, dove i personaggi si incontrano, si intrecciano, incessantemente. Così, troviamo Kilgore Trout, un vecchio scrittore di fantascienza barbone, che scrive i propri racconti su carta che butta vita. Ma, il signor Kilgore, diventa, suo malgrado, celebrità in un altro libro, o scrittore preferito da qualche altro personaggio o… E come dimenticare Mr Rosewater, un ricco milionario folle, protagonista di una illogica (ma non troppo) storia di eredità e semplice figurante, durante un incontro sull’arte? E poi ci sono i pompieri, considerati come gli unici veri grandi eroi nazionali… E Billy Pilgrim, capace di muoversi nel tempo. Ed infine i Tralfamadoriani. Ecco, forse solo loro riescono a non farmi piangere, perché per loro, il tempo non esiste. Quando guardano un uomo, vedono un lungo verme, che inizia con i piedi di bambino ma che conclude con la testa di un vecchio. Per loro, il tempo è una dimensione, come lo spazio. Quindi, un essere vivente (ma anche no) potrebbe benissimo saltare da un momento della propria vita ad un altro, semplicemente percorrendo la propria linea dell’esistenza. Così, un uomo non nasce e non muore mai, semplicemente E’.
Forse è questa l’unica consolazione possibile. Per ricordarlo, concludendo, potrei inserire qualsiasi cosa. Dal discorso della montagna di Gesù Cristo – che lui adorava – alla preghiera di Reinhold Niebuhr. O, ancora, qualche sua spiritosaggine sul mondo, sulla vita, sull’esistenza.
Ma, forse, hanno ragione i passeri. E se non è bello questo, cosa lo è?
di Alice Suella