Religione come cibo e cibo come religione
Settembre 4, 2005 in Libri da Gustare da Simona Margarino
Titolo: | Religione come cibo e cibo come religione |
Autore: | Oscar Marchisio (a cura di) |
Casa editrice: | FrancoAngeli |
Prezzo: | € 14.0 |
Pagine: | 140 |
Dio creò il giardino dell’Eden, l’uomo, la donna e poi…come, prima restrizione, proibì ad Adamo ed Eva di nutrirsi del frutto di un albero. Il cuore di “Religione come cibo e cibo come religione”, a cura di Oscar Marchisio, opera edita dalla FrancoAngeli di Milano nel 2004, conferma in maniera illuminante il legame indissolubile che incatena alimentazione e sacralità, partendo dai versi iniziali del Genesi fino ad arrivare alla modernissima dieta alleluja del reverendo George Malkmus di Shelby, North Carolina.
Svariati sono gli aspetti evidenziati dall’autore, insieme a molte curiosità, anche etimologiche: Gesù che radica il Cristianesimo sui fondamenti del pane-corpo e del vino-sangue (dal nostro progenitore contadino all’hoc est corpus meum dell’ostia dell’eucarestia, fino ad arrivare alla Betlemme-casa del pane*), l’antropofagia rituale di alcuni popoli primitivi, l’introiezione del dio attraverso la pasta di papavero dell’azteco teoqualo, la preghiera prima del pasto, l’olio liturgico, il Ramadan o il giorno di Yom Kippur, il cuocere il mondo del lokapakti del brahmano, il kuta kuta**, i cerimoniali di iniziazione in miti o fiabe, l’aria ossigenata ingerita dalla New Age, mille sono gli esempi a ribadire la veridicità del titolo.
Intricato, ma estremamente interessante, è dunque il viaggio all’interno di un labirinto di credenze, per Bibbia o alimenti. D’altro canto, la dispense di tutte le case della terra sono piene di superstizioni e teologia a basso costo. È proprio su questo piano che si formano gli impasti di carne e spirito, abbattendosi a terra o svettando nel firmamento, a seconda che si tratti di sostanzializzazione del dio o di elevazione in cielo dell’uomo. Ma c’è sempre una regola nella disposizione dei piatti o nel loro numero: sono infatti Allah, Geova, Jahvé o chi per lui a rappresentare il ristoratore che detta un rigido codice del commestibile in modo che il menù, impresso sulle pagine del Corano, i Vangeli, la Torah o nelle tradizioni tramandate a voce possano marcare i limiti del mangiabile in un preciso modello culturale. E la società, muta, obbedisce.
I nove capitoli del testo, impeccabili e precisi, seppur un po’ brevemente tracciano un percorso nel tempo e nelle religioni ad annodare foie gras e Pentateuco, verdure e yin e yan, culatello di zibello ed estasi mistica. Come non allacciare, infatti, digiuno e accoppiamento, astensione e voracità, dieta e comandamenti? Così l’intreccio ghiottoneria-intossicazione-purificazione e la “trinità” gastronomia-sessualità-culto uniscono le fila in un tessuto in cui la comunione non è solo convivialità ma anche rituale, e il sacrificio-macello diventa persino redenzione, per stregoneria o miracolo. Basta mettersi alla tavola-altare per gustarsi la magia, un misto di fede e stoviglie.
* Betlemme deriverebbe dall’ebraico Bet-lehem, traducibile come “casa del pane” e Adamo da adamah che indica la terra intesa nel senso di suolo coltivato
** kuta kuta nella lingua dei Koko Yao della penisola di capo York significa contemporaneamente incesto e cannibalismo
di Simona Margarino