Qualcuno dipende da te

Maggio 14, 2003 in il Traspiratore da Redazione

Avevo appena 14 anni quando feci un’esperienza che non avrei mai più dimenticato. Allora vivevo ancora in campagna e passavo le giornate girando spesso in bicicletta. Non avevo amici con cui giocare perché il mio unico amico aveva traslocato da quasi 2 anni. Preferivo così girare nei boschetti e lungo i ruscelli, osservando e imparando dalla natura che mi circondava. E fu uno di quei giorni che raggiunsi una piccola valle a qualche km da casa mia: quel posto mi colpì a tal punto che decisi di fermarmi un po’a riposare sdraiato nell’erba.

Sembrava un piccolo Paradiso terrestre, con un enorme prato circondato da una fitta boscaglia e al centro un piccolo laghetto alimentato da una sorgente che fuoriusciva da una roccia. Era così bello forse perché poche persone sapevano di quel luogo: infatti per arrivarci c’era da percorrere un sentiero quasi completamente cancellato dalla vegetazione. Inoltre scoprii quel luogo ancora in primavera, quindi era notevolmente più difficile orientarsi in mezzo agli alberi. Di fatto in quella zona non giungeva alcun suono o rumore di macchine o di trattori, anche se questi percorrevano spesso una strada sterrata a poche centinaia di metri di distanza. Potevo udire solo il gorgoglio dell’acqua, il cinguettio degli uccelli e, ogni tanto, il fruscio del vento. Rimasi lì un pomeriggio intero e decisi di fare tappa in quel luogo ogni volta che fossi passato da quelle parti. Dopo un paio di volte che ci andai però iniziarono a succedere delle cose molto strane…

Ero, come sempre, coricato all’ombra di una quercia e mi godevo lo spettacolo di alcune nuvole che si inseguivano nel cielo, quando, ad un tratto, udii delle fievoli voci lontane che assomigliavano a canti gioiosi. Logicamente mi alzai di scatto cercando di capire da dove provenissero, ma improvvisamente tornò la calma, tanto che dopo qualche attimo di smarrimento mi convinsi che fosse stata una suggestione: forse avevo sentito il rumore delle foglie mosse dal vento, il resto poi lo aveva ricamato la mia fantasia…

Il giorno dopo tornai in quel luogo non ricordando quasi ciò che mi era successo e, mentre stavo guardando in direzione del laghetto, mi parve che un girasole vicino alla mia mano si stesse muovendo. Lo fissai per qualche secondo e con mia enorme sorpresa lo vidi effettivamente girarsi verso di me e chinarsi verso le mie dita. Inutile dire che, assalito dal panico, presi la bicicletta e corsi via. Quel fatto mi terrorizzò a tal punto da sognarlo persino di notte. Forse però la curiosità fu ancora maggiore della paura, così poco tempo dopo volli tornare in quella valle.

Cercavo di far finta di nulla, ma ogni giorno succedeva sempre qualcosa di illogico: voci di ragazze che arrivavano dal bosco, fiori che si muovevano anche senza vento, canti e suoni lontani… addirittura un giorno mi parve che la fonte rimase bloccata per qualche secondo, per poi ricominciare a buttar fuori l’acqua. Non potevo raccontare a nessuno ciò che accadeva perché chiunque mi avrebbe dato del pazzo o del bugiardo. Ben presto la paura sfumò del tutto e cominciai a divertirmi.

Stava ormai per finire l’estate e sugli alberi cominciavano a comparire le prime foglie gialle: a breve avrei depositato la bicicletta nel garage per riprenderla la primavera successiva. Decisi così di andare un’ultima volta in quel luogo, per salutarlo in attesa dell’anno successivo. Fu quel giorno che cambiò il mio modo di pensare…

Dopo circa un’ora che me la cozzavo sdraiato nell’erba ricominciarono i soliti canti e le solite voci; dopo alcuni attimi riuscii anche a scoprire, finalmente, la loro provenienza. Potevo scorgere centinaia di creature simili a bambine e ragazze, di altezza variabile tra il centimetro e la mia statura, che saltellavano e giocavano in mezzo al prato. Facendo più attenzione ne vidi alcune talmente piccole che stavano sulla corolla dei girasoli; altre avevano le ali e volavano sospese a qualche metro dal suolo; altre ancora fluttuavano sulla superficie del laghetto senza affondare e infine alcune entravano e uscivano dai tronchi degli alberi come se nulla fosse.

Erano fate, driadi e ninfe, tutte femmine, e riempivano l’aria di suoni e giochi festosi, danzando e volteggiando a mezz’aria. Erano bellissime e credo che non esistano al mondo donne di pari bellezza. All’inizio sembrava che nessuna di loro mi notasse e infatti mi passavano a pochi centimetri senza nemmeno voltarsi o tentare di schivarmi. Non fiatai, anche perché avevo paura che scappassero: rimasi a godermi quello spettacolo fantastico e mi divertii molto. Ad un certo punto una ninfa che giocava nella fonte si voltò verso di me e, dopo avermi fissato per qualche secondo, mi invitò con un gesto della mano a raggiungerla. Rimasi qualche istante attonito, mi guardai attorno e, dopo aver capito che ce l’aveva proprio con me, le andai incontro. Assomigliava ad una ragazza della mia età, con capelli lunghi e neri e occhi blu come il cielo; il corpo era più slanciato e la pelle era di un curioso colore azzurro.

Sembrava che indossasse una veste fatta di acqua, ma non saprei dire se era effettivamente un vestito o se era parte del suo corpo. Provai a toccarla e provai la stessa sensazione di quando si tocca la gelatina. Il suo corpo era un continuo rimescolio di acqua e per questo le sue forme non erano ben definite.

Tutto ciò che posso dire è che era talmente bella che nessuna frase può definirla. Inizialmente credetti che non potesse parlare perché si esprimeva solo a gesti e si limitava sorridere di fronte alla mia goffaggine e alla mia timidezza. Tentai di mettere insieme un discorso di senso compiuto, ma fallii miseramente, così fu proprio lei a togliermi da quell’impiccio. Mi chiese chi fossi e, dopo aver risposto a quella facile domanda, anch’io riuscii a riprendere un po’ di dimestichezza con l’italiano e a instaurare un discorso. Non fu una lunga chiacchierata, ma comunque riuscii a comprendere molte cose a me oscure. Se già il solo sapere della loro esistenza avrebbe potuto turbare molte persone, le condizioni della loro vita erano decisamente più interessanti.

In realtà le driadi, le ninfe, le faerie sono state create dalla fantasia dei vari autori, che le hanno sempre descritte come esseri femminili simili a fanciulle di bellezza ineguagliabile. Sono tenute in vita da quei bambini e da quei ragazzi che ancora credono nella loro esistenza e vivono finché i ragazzi che le immaginano diventano adulti e smettono di credere in loro. Quelle che avevo di fronte non erano nient’altro che il frutto della mia fantasia; eppure erano lì, in carne e ossa, vere come lo ero io.

Mi spiegarono che avevano il compito di vegliare quel luogo e di tentare di proteggerlo.

Le driadi sono spiriti degli alberi e vivono nei loro tronchi; non appena il tronco viene tagliato muoiono. Le ninfe sono gli spiriti delle acque libere e muoiono non appena il corso d’acqua o lo stagno in cui vivono vengono modificati dall’uomo. Infine, le faerie sono esseri alati, chiamate spesso “fate” (in realtà le fate non sono solo faerie, ma anche le driadi e le ninfe), libere di volare nell’aria pulita; muoiono se il loro spazio viene invaso dai fumi nocivi prodotti dall’uomo. Inoltre ognuna di loro rischia di morire se qualcuno smette di credere in loro.

Fu per questo motivo che si erano mostrate ai miei occhi: perché mi rendessi conto che spesso i nostri sogni si avverano, anche se non sempre riusciamo ad averne la dimostrazione.

L’ultima cosa che mi chiese quella splendida fanciulla fu di non smettere mai di credere in loro. Io le risposi “Crederò sempre in voi!”, e lei mi lasciò dicendo “E noi crediamo in te!”.

Non sapevo che quello sarebbe stato l’ultimo giorno che avrei potuto vederle: infatti, appena arrivai a casa, i miei genitori mi dissero che stavamo per cambiare casa…

Il Traspiratore – Numero 43 – 44

di F.
Accardo