Nina Buck: una manager del jazz

Luglio 4, 2002 in Musica da Claris

28525(2)Nei dieci giorni del festival, Ascona diventa la gemella riconosciuta della patria del jazz, New Orleans, in Louisiana: l’atmosfera di festa, le parate nelle strade, l’aria carica di energia creativa e frizzante sono un insieme unico che trasporta una parte d’America sulle rive del Lago Maggiore. Il gemellaggio, grazie alla straordinaria intuizione del direttore del festival, Karl Heinz Ern, è anche enogastronomico. Infatti, il celeberrimo Palm Court Jazz Café di New Orleans si è trasferito, per tutti i dieci giorni della rassegna, sulle rive del lago, presso il noto ristorante degli Angioli, con la sua cucina creola ed i concerti di jazz tradizionale. Ecco l’occasione per scoprire i segreti dell’intraprendente Nina Buck, simpatica ed effervescente manager del Palm Court Jazz Café, sempre con la sua inseparabile stola di piume rosa al collo.

Buongiorno Nina, è il secondo anno consecutivo che partecipi al Festival di Ascona in maniera attiva, trasferendo qui la tua attività. Possiamo affermare che si tratta ormai di un’abitudine consolidata?

Sì, sono felice di essere nuovamente qui, perché l’anno scorso è stata un’esperienza fantastica che mi ha permesso di verificare una mia vecchia idea. Ovvero che il pubblico, se introdotto in un ambiente di qualità e fascino, dove l’ingrediente principale è la buona musica, scelta ad hoc, si appassiona più facilmente anche ad una cucina esotica e differente dalle abitudini consuete. Inoltre, mentre in America il binomio paritario tra musica e cibo viene proposto in parecchi locali, in Europa è ancora poco sfruttato; nei ristoranti del vecchio continente, si preferisce continuare a considerare la musica un semplice accompagnamento delle serate e non una componente di spicco della cena, alla pari di un vino pregiato o dell’estetica delle portate.

In questa settimana chi ti sostituisce a New Orleans?

Fortunatamente nessuno, perché il Palm Court Jazz Cafe è chiuso per ferie da metà giugno fino a fine luglio; questo infatti è il periodo più torrido dell’anno e con meno turisti. Ecco perché posso trasferire la mia struttura organizzativa sulle rive del lago Maggiore, compresi lo chef Vernell Morgan e il suo assistente John Nelson. E’ una coincidenza fortunata, altrimenti non mi permetterei mai di smobilitare la mia cucina; sono tanti, infatti, i festival jazz, in Inghilterra, Francia, Giappone, che durante l’anno mi propongono di trasferire la mia cucina, ma devo sempre rinunciare, permettendomi, al più, qualche breve trasferta personale per visionare i migliori artisti da invitare nel mio locale.

Quali sono le differenze tra Ascona e New Orleans, soprattutto nel rapporto tra pubblico e artisti?

Praticamente nessuna, è sempre l’amore per la musica che guida il pubblico nelle scelte dei concerti. Questo è uno dei pochi posti in Europa dove c’è grande coesione tra musicisti e fan.

Che cos’è per te il jazz?

E’ il fil rouge che ha accompagnato la mia vita e i miei amori, da quando, sedicenne, nell’Inghilterra di fine anni ’50, dove sono nata, era la musica più popolare. Mi sono appassionata e il mito del rock, da Elvis Presley in poi, non ha mai superato la mia predilezione per il jazz e per il blues. La fortuna della mia vita è riuscire a coniugare l’amore per la musica e gli interessi economici. Con mio marito George, infatti, oltre al Palm Court, abbiamo una casa discografica ben avviata in New Orleans.

Hai apprezzato dal vivo i migliori jazzman della storia; chi ti ha impressionato maggiormente? In questo 18° Festival di Ascona, per te, chi sono i migliori?

Armstrong resterà unico per le sue doti e il suo carisma; ascoltarlo era come trovarsi davanti ad un capolavoro d’arte. Quest’anno ad Ascona ci sono nomi famosi e bravi, da Sam Butera, che è stato più volte mio ospite a New Orleans, a Leroy Jones, a due miei carissimi amici, Juanita Brooks e Lino Patruno, che mi accompagnato nei migliori club jazz di Roma nel mio ultimo viaggio in Italia. VI consiglio caldamente di non perdere gli accordi di chitarra del bravissimo Marty Grosz.

Ci puoi raccontare un episodio particolare della tua vita legato al jazz?

Guarda, ho avuto le emozioni più profonde quando ho deciso di aprire il mio locale a New Orleans. Il progetto Palm Court è stato una scommessa totalmente nuova e anche un po’ rischiosa dal punto di vista finanziario. In quei momenti capisci veramente quali sono gli amici su cui puoi contare; per fortuna, i musicisti che più amavo hanno creduto dall’inizio nella mia iniziativa, così la qualità della musica che ho ospitato è stata da subito molto alta e ben riconosciuta, anche da personaggi famosi miei clienti, da Bob Hope a Rod Stewart.

Qui ad Ascona, come reagiscono i clienti alla cucina creola?

In maniera molto positiva, apprezzando la nostra gastronomia esotica. Tutti sono incuriositi dai nuovi piatti, lontani dalle tradizioni locali, e vogliono scoprire i segreti della preparazione delle nostre ricette. Paradossalmente penso sia più facile far accettare questi sapori, diversi e forti, piuttosto che alcune soluzioni proposte dalla nouvelle cuisine.

Ho scelto di portare un menù composto dalle portate più gettonate a New Orleans: la zuppa tradizionale creola, la jambalaya, il gustosissimo gumbo, le insalate di gamberetti flambati al brandy in salsa alla crema, i celebri fagioli rossi alla Louisiana (serviti con riso e pollo fritto), i gamberi d’acqua dolce con riso, la torta di pane al whisky… Il tutto aromatizzato con spezie e ingredienti tipici della cucina caraibica.

Cosa si prova ad essere una delle poche donne manager in due mondi prevalentemente maschili, quello del jazz e quello dalla ristorazione?

Sono ormai molto navigata e non mi spaventa certo essere una mosca bianca inglese in un mondo prevalentemente nero, americano e maschile, ma mai maschilista!

Nel mio locale, invece, prediligo l’intimità, cerco sempre di creare un’atmosfera familiare con i miei venti dipendenti, non facendo mai pesare loro nessun distacco. Credo nel lavoro in team, nel rispetto e nell’amicizia anche sul lavoro.

Cosa pensi occorra fare per avvicinare di più al jazz le nuove generazioni?

Anche se lo star system promuove sempre più il pop e il rap tra i teenager, penso che quando i giovani arrivano verso i 30 anni, iniziano naturalmente ad avvicinarsi alle sonorità più melodiche, allo swing, al jazz e al blues… ogni età ha la sua musica e, penso, il jazz tradizionale, quello di Ascona e New Orleans, non tramonterà mai!

Al ristorante degli Angioli, sede temporanea del Palm Court durante il Festival, si ascolta ogni sera ottima musica: dopo i New Orleans Serenaders, i tedeschi della Barrelhouse Jazzband e gli olandesi Swing Cats, ieri grande partecipazione di pubblico per la Milano Hot Jazz Orchestra, la band italiana più ‘irriverente’ di Ascona 2002. Oggi Nina ospita Marty Gorsz (a detta di tutti i critici ‘il miglior chitarrista ritmico ed il miglior solista per accordi’) e poi Lino Patruno (5 luglio), gli Engelbert Wrobel Swing e Trevor Richards Trio (7 luglio).

Per le vie di Ascona, da non perdere, oggi, i Banjobreakers (Meeting point, 1700-19.00), El Polcer (stage Piazza, 20.30 – 22.15) e The Chapman Singer accompagnate dalla splendida voce di Juanita Brooks (stage Imbarcadero, 22.15-24.00).

di Claudio Arissone