Nefer, la donna nella società egizia
Giugno 14, 2007 in Arte da Marcella Trapani
L’unica, l’amata, la senza pari, la più bella di tutte,
guardala, è come la stella fulgente all’inizio di una bella annata.
Liriche d’amore dal Papiro Chester Beatty I
La donna nell’Egitto faraonico costituisce l’argomento della mostra Nefer. La donna nell’antico Egitto, in corso a Torino a Palazzo Cavour fino al 1° luglio prossimo. La sua posizione sociale appare singolarmente progredita nel contesto delle altre società antiche, siano esse quella mesopotamica o quella greca.
Le donne egiziane infatti godevano di diritti patrimoniali ben definiti e regolamentati, come risulta da documenti ieratici conservatici su papiri o su ostraca (cocci di ceramica o schegge di calcare usati come supporti scrittori) contenenti disposizioni legali. Tali disposizioni sancivano l’unione matrimoniale, di cui non sono state individuate forme particolari di cerimonia. I documenti legali definivano anche le questioni ereditarie nonché le regole della vita sociale: l’adulterio era represso ed era la principale causa di scioglimento del matrimonio, il divorzio e l’adozione erano previsti e, in caso di separazione, l’affido dei figli poteva spettare a entrambi i genitori.
Le donne di condizione sociale elevata potevano amministrare ed ereditare dei beni ma non potevano esercitare un mestiere. Sono rari infatti i casi di donne scribi o funzionari, mentre è attestata l’esistenza di una donna medico; in genere esse si dedicavano alla tessitura, alla preparazione dei cibi oppure al culto divino come sacerdotesse, ballerine o cantatrici. Ancora più rari sono gli strumenti di scrittura appartenuti a donne che forse erano utilizzati solo per dipingere o disegnare oppure per indicare l’abilità scrittoria della proprietaria. Esistevano infatti, anche se non numerose, donne alfabetizzate, come si deduce da testi in cui si allude a lettere scritte da donne. Ciò è vero soprattutto per la comunità di operai addetti alle tombe reali che visse nel villaggio di Deir el-Medina, nell’area texana, nel Nuovo Regno (1539-1075 a.C.).
Al momento del matrimonio occorreva determinare una dote che avrebbe permesso alla donna di sopravvivere in caso di divorzio o di ripudio. Ad esempio in un atto legale, rimastoci in brutta copia su un coccio, un padre si impegna a riprendere in casa sua la figlia, nel caso in cui quest’ultima sia scacciata dalla dimora del marito.
In genere le regole della successione prevedevano che il figlio maggiore prevalesse su tutti i parenti del defunto e che la proprietà restasse indivisa; perciò per alterare tale consuetudine, ad esempio per dare in eredità dei beni alla moglie del morto, era necessario redigere una dichiarazione testamentaria davanti all’autorità giudiziaria.
Molti dipinti nelle tombe o bozzetti di artisti su ostrica rappresentano figure femminili in vari atteggiamenti: nel periodo del Nuovo Regno la donna indossa una lunga veste trasparente, orecchini a cerchio e una parrucca dalle lunghe ciocche inanellate, sormontata da un cono d’unguento.
Spesso sono raffigurate scene di allattamento o di parto, in cui una signora è assistita da un’ancella. In questi casi le protagoniste sono nude o poco vestite. In particolare le scene di parto si svolgono in un edificio, un padiglione, caratterizzato dalla presenza di foglie di convolvolo, una pianta dal significato simbolico di carattere sessuale.
Anche le danzatrici e le serve sono ritratte nude e con pochissimi vestiti. Bes, divinità maschile dalla testa leonina, copricapo di piume e aspetto grottesco, proteggeva le partorienti ed era effigiato su molti oggetti legati alla toilette, quali impugnature di specchi, poggiatesta o astucci di kohl.
di Marcella Trapani