NAUFRAGIO! – Parte sesta
Ottobre 23, 2011 in Racconti da Meno Pelnaso
La barca affondata, la roba recuperata, fradicia, accatastata sulla sabbia e nessuno che neppure si fermava a chiedere se avevamo bisogno di qualche cosa.
Con la forza della disperazione girammo la barca.
Uno sforzo disumano che venne ripagato mostrandoci poi un Caravel ancora mezzo affondato perché pieno d’acqua quasi fino all’orlo.
Con tecnica primitiva ma efficace, inclinando la chiglia, con delle sassola di fortuna, perché ci accorgemmo che mancavano nelle dotazioni … (cucchiaia, attrezzo per togliere l’acqua dal fondo simile ad una grossa paletta n.d.r.) …
– … ma non avevamo controllato tutto molte volte ehhh!?!?!
… svuotammo a più riprese la barca fino a che tornò a galleggiare mesta e chiatta.
Poi affrontammo il problema più grosso …
… la bassa marea aveva fatto emergere le secche e chiuso quasi tutti i varchi d’uscita da quella specie di piscina in cui ci eravamo cacciati!
– … si … si … dai … dai … guarda che bello … andiamo lì che è tranquillo così possiamo fare il bagno! … Tranquillo … tranquillo un cavolo! … Tranquillo come un cimitero! … tzè!
L’alta marea sarebbe arrivata a notte fonda, dopo diverse ore e non potevamo aspettarla bagnati fradici e senza un riparo per l’imminente pioggia … anzi … visto che c’era si mise a piovere subito!
Una pioggia calda, portata da un vento caldo, mentre eravamo inzuppati di acqua calda …
– Sembrava di essere … “in brodo”!
A forza di braccia, fino a sentire male, facendola dondolare e spingendola con forza sovraumana, le facemmo superare la secca e fummo finalmente nell’acqua libera.
Per non farla affondare definitivamente, prima di salire cercammo di svuotarla ancora un po’.
Poi con la massima cautela per non farla inclinare oltre il limite consentito, il bordo della poppa (parte posteriore della barca n.d.r.) non era poi così distante dal pelo dell’acqua, salimmo uno all’estremità della prua (parte anteriore della barca n.d.r.) e l’altro al timone.
Mentre si continuava a svuotare la barca a grandi bracciate brandendo una spugna enorme e una specie di pala arrangiata alla bisogna, cercai di far partire il motore, che fortunatamente non era stato sommerso e non vi era entrata acqua.
Dopo molti sforzi, per l’ansia l’avevo anche fatto ingolfare, finalmente partì e potei abbassare la deriva (lama mobile che serve per dare stabilità alla barca n.d.r.) appena raggiunta l’acqua più profonda.
Lentamente, perché se facevamo alzare troppo la prua la poppa calava drammaticamente verso il pelo dell’acqua, ci avviammo verso il porto.
Sembrava fatta, … finché non incontrammo un muro d’alghe galleggianti che ci sbarrava la strada!
– Ricordi la legge di Murphy … “Non c’è limite a quanto le cose possano andar male”?
Cercammo di superarlo con attenzione, ma la sfiga ci aveva ormai nel suo mirino!
– “La fortuna è ceca ma la sfiga ci vede benissimo!”
La pianti per favore?!? …
Così, dopo poco un’enorme matassa d’alghe si avviluppò attorno all’elica ed il motore si spense.
Preso dallo sconforto, dopo aver passato in rassegna e giudicato con una certa qual acidità quasi l’intero antico olimpo, sollevai il motore e mi dedicai alla divertentissima attività di pulire l’elica …
In quel mentre una barca da pesca, guidata da due ragazze ed una donna anziana, ci passò di fianco e, attirate dalle nostre urla si fermarono accettando di trainarci in porto.
Riuscii a liberare l’elica mentre entravamo nel canale del porto e, ringraziate le buone samaritane, non senza aver prima, carichi di riconoscenza, fissato un appuntamento per una cena a nostro carico il giorno successivo, ci avviammo al cantiere.
Arrivati al molo il proprietario ci apostrofò chiedendoci dove eravamo finiti, ‘chè lui doveva chiudere perché voleva andare a mangiare.
Mentre lo pagavo gli dissi velenosamente che le sue previsioni del tempo facevano schifo e che la barca si era girata nell’acqua bassa per una raffica di vento.
Lui prima si preoccupò se il motore era finito in acqua, poi, dopo essere stato rassicurato, ammise candidamente, col solito sorriso ebete appiccicato sulla faccia, che se mi avesse detto la verità noi non saremmo usciti in barca e lui ci avrebbe rimesso l’affitto per il pomeriggio!
I momenti successivi a questa ammissione non li ricordo con lucidità, sono certo di non avergli messo le mani addosso, ma anche di aver desiderato ardentemente di proiettarlo su una zattera senza acqua e viveri in mezzo all’oceano in tempesta.
Ricordo solo che indignati prendemmo le nostre cose e, ancora bagnati fradici, ci allontanammo senza voltarci mentre arrivava l’eco di una voce stridula che chiedeva …
“… ma non mi aiutate neppure e rigovernare la barca?”
…
… ma vedi un po’ di andare a …!!!
Affettuosamente Vostro
Meno Pelnaso
di Meno Pelnaso