Mille anni che sto qui

Agosto 29, 2007 in Libri da Stefano Mola

Titolo: Mille anni che sto qui
Autore: Mariolina Venezia
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: € 15,00
Pagine: 250

Mille anni che sto quiTanto per capire da che parte stiamo, diciamo subito che questo libro mi è piaciuto molto. Lo metterei nella categoria critica dei Libri Importanti. Permette di dare una risposta affermativa ad alcune domanda: è possibile raccontare la Storia d’Italia dall’unità fino ad oggi? È possibile farlo utilizzando come palcoscenico Grottole, provincia di Matera, paese apparentemente arenato in un’ansa della storia sotto l’ombra della povertà? E contemporaneamente, è possibile che la narrazione sia in primo luogo il racconto di uomini e donne, soprattutto donne, madri e figlie, con tutti i loro amori, delusioni, illusioni, fallimenti, fobie, tradimenti, fedi, lotte politiche, passioni, ovvero la vita nel suo inestricabile miscuglio, ovvero qualcosa in cui potersi rispecchiare e riflettere pur con la debita distanza di tempo e luogo?

Mariolina Venezia, che con questo suo primo romanzo è nella cinquina del Premio Campiello dimostra che è possibile rispondere sì alle tre precedenti domande. Riesce in questo delicato equilibrio proprio perché in primo piano ci sono sempre i personaggi. Un affollamento di personaggi, tutti quelli che si originano dell’unione mai santificata nel matrimonio di Don Francesco e di Concetta. Mariolina Venezia dedica attenzione a tutti, fosse anche solo mezza pagina. Ma ogni apparire è denso. Una delle qualità della sua scrittura è proprio la capacità di tratteggiare un personaggio nella sua radice. In poche righe, ne dispiega la vita, il suo nucleo, le direttrici della sua possibilità di farcela, o le ombre che presiederanno al suo fallimento.

Poiché c’è la vita in tutti i suoi aspetti, a partire da quelli materiali della sopravvivenza, è impossibile che non compaia la Storia. Ma lo fa per necessità, non per tesi sovrapposta. Si capisce benissimo che l’autrice ha una opinione precisa delle vicende storiche, ma il fine primario non è usare i personaggi per illustrarla. Non c’è mai quella sensazione posticcia di qualcuno che entra in scena, squilli di trombe, annuncio: dice Adesso Mettetevi Seduti E Prendete Appunti, Vi Spiego La Storia d’Italia, che poi metà della sala magari si addormenta. La storia entra, perché le vite sono vere, non sono appese a qualcosa di indefinito, ma saldamento ancorate ai colori, ai suoni, agli odori, al sangue, al sesso, alla fame, alla luce, alla campagna, alla città. Se è così, come può non entrare, la Storia? Non è che viene messa lì: semplicemente, è come se venisse fuori da sola. Ci deve essere, ma perché ci sono le vite dei personaggi. Quello che viene fuori è anche il legame oscuro, conflittuale ma inscindibile, quasi carnale, con la terra, con quella terra, con quella luce, con quelle colline, un filo conduttore altrettanto forte di quello che lega le generazioni.

Ancora un paio di cose sulla scrittura. Qui devo enunciare la teoria del Doppio Movimento. Ci sono tanti movimenti possibili all’interno di una narrazione. Uno è verticale: accade quando le parole che ti scorrono sotto gli occhi rimbalzano dentro di te, ti parlano, sollevano echi e quindi ti fermi e invece di andare avanti vuoi soppesare, riflettere. È il momento in cui senti la voglia di sottolineare, di trascrivere. Quindi verticale perché le parole escono dalla pagina e vengono verso di te. Poi c’è quello orizzontale: ed è l’avidità di sapere come va a finire, la voglia di correre accompagnata dalla paura che le pagine finiscano.

In questo libro ho provato entrambi, ed è bello sentire questa tensione tra la voglia di soffermarsi e quella di correre, in una scrittura che non si specchia in sé stessa, non prevarica la narrazione, ma cerca il movimento verticale addensante quando serve davvero e per il resto scivola bene, perché racconta. La paura che le parole finiscano, la paura di arrivare all’ultima pagina può essere risolta in un unico modo: con un finale perfetto. I finali sono una cosa difficilissima, molto più che gli incipit. L’incipit può essere roboante, può impressionare per incisività, ma il finale deve avere la capacità di risolvere. L’ultima pagina di questo libro secondo me è così. Risolve perfettamente, porge una sintesi dell’intero libro, ed è una gran pagina a movimento verticale.

di Stefano Mola