Lucernari dell’infinito

Gennaio 7, 2005 in il Traspiratore da Redazione

È così che Baudelaire chiamava gli stereoscopi, inventati del 1832, i quali apportavano, grazie a due lenti prismatiche, una visione tridimensionale degli oggetti rappresentati… Ma nel nostro ipotetico e fulmineo viaggio nella preistoria del Cinema, non possiamo non fare un balzo indietro, immergendoci nella magia delle origini. È il teatro delle ombre, venuto dall’Asia, dall’Arabia, dal Mediterraneo Orientale in Europa nel corso del ‘700, l’ispiratore della Settima Arte. Basta una sagoma ben ritagliata, o il nostro corpo, le nostre mani, per dar vita a questo spettacolo misterioso e affascinante che ha avuto tanta fortuna a fine ‘800, tanto da diventare un genere a parte. E poi la camera oscura -il cui principio era già conosciuto fin dai tempi di Aristotele- in cui la luce, penetrando da un piccolo foro nella parete della scatola, all’interno del suo spazio buio, riproduce le immagini della realtà esterna capovolte e in senso contrario.

Lo sguardo sull’infinito si apre anche con la riscoperta della lanterna magica, inventata nel 1659, che allieterà tante sere in famiglia, nutrendo l’immaginazione dell’ancora bambino Proust e spaventando con le sue immagini ingrandite gli ignari spettatori. È questo lo strumento che inaugura lo spettacolo visivo come rito collettivo e non più come atto di voyeurismo individuale, perché per la prima volta le immagini sono proiettate su una parete. Esse sono costituite da vetrini disegnati e colorati e ben presto, attraverso la sovrapposizione e lo scorrimento l’uno sull’altro di vetrini complementari, si proietteranno anche semplici immagini in movimento.

Ed ecco lo stroboscopio del 1833. Esso presenta uno dei primi studi sul movimento: un disco rotante con una serie di disegni che riproducono i successivi piccoli movimenti di un corpo, ad esempio umano, da osservare allo specchio. L’incontro tra gli studi sul movimento e quelli sulla fotografia darà origine alla ricerca sull’animazione fotografica delle immagini: si faceva strada la cronofotografia, a partire dal 1878.

Il Kinetoscopio di Edison nel 1894 riproponeva la visiona singola, individuale, che ci riporta alla preistoria degli studi ottici, all’interno di scatole in cui si poteva assistere a brevi spettacoli cronofotografici.

1895, 28 dicembre: fervono i preparativi al Grand Cafè di Parigi. I fratelli Lumière inventano l’idea del Cinema come spettacolo collettivo e a pagamento. L’uscita dalle fabbriche Lumière (1895), contiene in sé i futuri sviluppi della pubblicitaria, di un cinema che è industria, oltre che spettacolo e quadretti di vita quotidiana. Demolizione di un muro (1895) filma non solo la demolizione del muro, ma anche il suo ricostruirsi, attraverso l’ingegnosa intuizione di proiettare al contrario la pellicola. Ecco perché registi come Godard arriveranno a dire che il cinema è “la resurrezione del reale”. L’innaffiatore innaffiato (1895) introduce la fondamentale dialettica di soggetto-eroe e oggetto-valore, costruendosi come breve racconto e, quindi, metafora di vita. Il Cinema era ancora fondato su pochi semplici ma importanti principi: unica inquadratura, assenza di montaggio, assenza di movimenti di macchina, inquadrature ad altezza di sguardo, frontali, con personaggi ripresi in piani medi, in posizione centrale. Si tratta di un uso dello spazio che è ancora di derivazione teatrale. Ma è anche la logica semplice che sta alla base di alcuni sintagmi di conversazione dei film di Ozu, regista giapponese che, come tanti suoi conterranei, all’inseguimento dell’armonia e dell’equilibrio, riprenderà i dialoghi con queste modalità, con un’unica grande invenzione in aggiunta: quella del montaggio. L’inquadratura unica è invece alla base del piano sequenza -tanto caro ad un regista come Orson Welles-, figura cinematografica di alto rilievo che consiste nel tenere in un piano d’insieme tutti i partecipanti di una scena, utilizzando, se necessario, i movimenti di macchina per seguirli e gli effetti di profondità di campo per conferire loro un ordinamento gerarchico. Questa tecnica riprende le immagini come un occhio imperturbabile, dando al cinema una connotazione di fredda impassibilità e permettendo allo spettatore di decidere cosa privilegiare nell’immagine.

Assistendo alla proiezione di Viaggio attraverso l’impossibile di Meliès (1904), ci si rende conto dell’importanza del montaggio cinematografico, il quale ha il pregio di introdurre le ellissi, i salti temporali all’interno della storia narrata, tra un “invisibile” stacco di montaggio ed un altro, proprio come il “punto a capo” in letteratura. Il cinema, così, già nel 1904, ha liberato lo spettatore dalla subordinazione alla continuità spazio-temporale. Proprio come accade anche nel sogno.

Ora il fenomeno “televisione” ha riportato la visione del cinema all’interno delle case, in una dimensione individualistica, quasi riconducendoci alle scatole ottiche, o ai tempi di Edison. Nei nostri salotti illuminati, con l’interpellazione diretta di presentatori e giornalisti con sguardo insistentemente rivolto verso la macchina da presa, di attori nelle pubblicità, di cantanti nei videoclip -che tanto influenzano il cinema “postmoderno”-, il voyeurismo tende a scomparire, sfatando l’atmosfera del racconto audiovisualizzato a luci spente. Ma come si può dimenticare ciò che Fellini pensava del Cinema, “una sala ribollente di voci e di sudori… le caldarroste… quell’aria da fine del mondo, da disastro, da retata…”? E’ questo rito collettivo, riscoperto dai multiplex, a rendere così affascinante il cinema per lo spettatore abbandonato sulla poltrona, rapito da un’immagine grande e da suoni in stereofonia… un’esperienza da avvicinare alla fantasticheria, al sogno. “La fotografia è la verità e il cinema è la verità 24 volte al secondo” diceva Godard in Le petit soldat (1960). È la verità dei nostri sogni, la concretezza del nostro bisogno di sognare, di condividere sogni e di intrappolare un momento di eternità in immagini e suoni, a far sì che il Cinema, tradendo le previsioni dei Lumière, non tramonti.

Il Traspiratore – Numero 51 – 52

di C. Inglese