L’oro in bocca

Gennaio 3, 2008 in Libri da Redazione

Titolo: L’oro in bocca
Autore: Alice Suella
Casa editrice: Eumeswil
Prezzo: € 12,50
Pagine: 160

LLe parole ossessive di Jack Torrance tornano, in veste ironica e scanzonata, per descrivere la vita di chi si sente in missione di Dio senza conoscerne la motivazione. Talmud, essere di sesso indefinito, vaga in un mondo ai confini della realtà. Portatore di una verità inquietante (i bambini sono alieni e controllano il mondo) tra citazioni di film, esperienze vissute e lacrime amare, deve combattere l’invasione della follia nella sua città. Una folla di estremisti religiosi razzisti, seguaci degli ultraterreni Exogini, viene manipolata mentalmente dall’Alieno Bianco, desideroso di conquistare il mondo. Talmud, incontrando personaggi di ogni genere (da AnnieWilker di Misery a La pulce d’acqua di Branduardi), si ritroverà a dover affrontare mostri di ogni sorta, fino a raggiungere la verità più terrificante…

Quello che avete letto qui sopra, è parte della quarta di copertina de “L’oro in bocca”, di Alice Suella. Ho deciso di riportare questo stralcio per fare capire la trama di questo “neuromanzo” – come lo definisce la stessa autrice, poiché in questa recensione non parlerò della storia. Se, leggendo queste righe, siete in cerca di anticipazioni varie o pillole di trama, avete sbagliato articolo. Mi sembra più opportuno porre l’attenzione allo stile e all’idea di fondo che caratterizzano questo “dromanzo” (definizione mia, stavolta). Perché dromanzo? Semplice, questo libro è una droga!

Le prime parole che mi sono venute in mente quando ho finito di leggerlo sono le stesse prime parole che ho detto all’autrice e, di conseguenza, le stesse prime parole che scriverò qui: “Alice Suella è matta!” Matta, ma nel senso buono. Leggendo l’oro in bocca, si ha la sensazione – rara, e per questo ancor più preziosa – di aver di fronte qualcosa di nuovo, fuori dal trito e ritrito che ammorba la narrativa contemporanea. Qualcosa di innovativo. Sin dalle prima pagina è capace di prendere la tua testa, e con lei il tuo tradizionale immaginario, e farli letteralmente a pezzi. Non si può, anzi, dovrebbe essere vietato per legge, accostarsi a questo romanzo come ci si accosterebbe a una qualsiasi opera di narrativa. Dirò di più, sarebbe alquanto stupido. Perché? Semplicemente perché il mondo in cui esso vuole proiettarti è un mondo che, per quanto simile al nostro, si basa, cresce e sopravvive partendo da presupposti totalmente diversi.

L’umanità dei personaggi, intesa come segno distintivo di appartenenza al genere umano, è continuamente messa in discussione, salvo poi riaffermarsi con incredibile violenza. Sì, violenza. Perché, sì, leggendo “L’oro in bocca” ci si sente violentati. Un lettore disattento potrebbe liquidarlo come un viaggio allucinogeno all’interno del cervello dell’autrice, tra paranoie, paure, inquietudini, nausea. In realtà, il viaggio, è nel tuo cervello. La paranoia, la paura, l’inquietudine, la nausea, sono le tue. Tue e di nessun altro. “L’oro in bocca” non fa altro che tirarle fuori, come un dentista armato di tenaglie farebbe col tuo dente malato. Le sradica, e nello stesso tempo è capace di metterle davanti ai tuoi occhi, senza né remore né rimorsi, senza che tu possa farci niente. È come quando incontri per strada qualcuno che non hai voglia di salutare. Se incroci i suoi occhi sarai costretto a farlo, non puoi più scappare, e non ti resta altro che affrontarlo. Ecco, “L’oro in bocca” è tutto questo. Risultato? Un’abulica espressione di stupore (e abulico, come dice la stessa Alice, è sempre una parola incantatrice).

di Marco Marchese