Linguaggi Jazz: tributo a Monk
Gennaio 22, 2004 in Spettacoli da Cinzia Modena
E’ sera, sulle auto un velo bianco e la propria solitudine da gestire. Ricordi che si posano davanti agli occhi come fiocchi di neve sulle auto. Leggeri o pesanti alla fine strati di bianco cristallino ricopriranno tutto quanto.
Raccontano che Thelonious Monk passò gli ultimi sette anni della sua vita senza parlare. Cosa avrà pensato durante quell’asso di tempo un uomo che ci ha regalato parole sotto forme di note, un uomo che tanto ha raccontato in passato?
L’arte a volte fa rabbrividire. Ci sono momenti in cui sembra più grande di noi e comprendiamo che è bella ma… non riusciamo a farla propria. La guardiamo come si guarda un evento straordinario: che sia bella o no, non importa, ci sta regalando emozioni. Eppure un velo circonda la nostra testa ed i nostri sensi. Camminiamo e ci sentiamo come sospesi. La nostra mente non è sazia. Abbiamo bisogno di risposte o semplicemente di una luce che ci svegli dal torpore e ci riporti alle nostre certezze, ai nostri giardini in cui custodiamo le nostre perle ed i nostri pensieri.
A volte… a volte si scopre che un personaggio come Monk, sempre presente nelle retrospettive Jazz, era ed è considerato un artista fuori dal coro: inclassificabile eppure un grande maestro. Non ha seguito una scuola né ha lasciato allievi, ma tanti musicisti sono stati influenzati dalla sua opera. Monk va forse spiegato o meglio, se ti parlano di lui e della sua vita comprendi meglio le sue note e sembrano un po’ più tue. Inizia con questa sfida la rassegna di Linguaggi Jazz.
Stefano Benni e Umberto Petrin hanno guidato il pubblico del Piccolo Regio sabato 17 gennaio lungo i vicoli di Monk. Ci hanno aperto il loro modo di interpretarlo e sentirlo con modestia e con passione. La soluzione da loro adottata è semplice: unire brani musicali a pensieri, ricordi di Monk. Come in un film si crea un connubio stretto tra trama e musica, così sul palco Benni e Petrin hanno dato vita ad un personaggio, Monk, svelando dettagli altrove di poco conto (come una passione per gli ultimi tasti a destra del pianoforte, i più acuti) o cercando di mostrarci l’anima di quest’uomo e la sua umanità.
Avevamo detto che a volte serve una guida. Il mondo di Monk non è complesso ma richiede una chiave di lettura. Non appartenendo ad un “filone” jazz, come avvicinare il pubblico a lui? Introducendo e parlando di chi ha subito la sua influenza e ne ha fatto tesoro, come Tom Waits o Steve Lacy. Si aprono le porte di un mondo interiore ricco di colori, brividi, sentimenti, leggerezza… perché non si ascolta solo musica. Si entra in mondo parallelo che è la vita trasposta in note musicali. Sogno e concretezza insieme. Alti e bassi, botta e risposta, i pensieri che si svolgono e mutano quasi senza regola come in “Particles” di Cecil Taylor o in “Riflettendo” dello stesso Umberto Petrin.
Le parole di Benni non sono inni all’amore ma riflessioni sulla quotidiana difficoltà di vivere in un mondo dove ci sono forti differenze sociali, dove l’uomo è stanco di una classe politica debole e della sedia elettrica, dove è importante amarsi per potersi difendere da stupidi insulti quotidiani. “Pianoforte bianco pianoforte nero… mi dai della puttana? Sì, ho fatto anche quello e ora lasciami cantare… il mio nome? Billie Holliday…” una musica forte fatta di desiderio di volare e scendere a terra, di giocare e di amare, di gridare e piangere, di ridere… di guardare il sole di New York tra i grattacieli, di sognare e di protestare.
Non è facile riuscire a comunicare ad una vasta platea di un uomo e della sua solitudine e della sua voglia di pace e serenità, del desiderio di un mondo in cui non esistano razzismi né guerre né droghe per fuggire alla realtà. Non è cosa da poco rendere struggenti le parole di un Benni attraverso le note di un pianoforte e non pensare che sia solo un sottofondo musicale ma sia proprio lui, Monk, a parlare attraverso le abili dita di Petrin.
Suggestione? Forse, ma se è così allora lo spettacolo è riuscito nel suo intento: fondere parole e musica per ricordare un grande uomo e musicista.
LINGUAGGI JAZZ
PICCOLO REGIO PUCCINI – Piazza Castello 215 – Torino
Inizio spettacoli: h. 21.00
Biglietto: 15 euro (studenti universitari: 12 euro)
Abbonamento a 11 concerti posto numerato: 120 euro.
Vendita biglietti senza maggiorazione: Associazione Culturale Centro Jazz Torino – tel. 011-884477 (lunedì – venerdì, h 14-20, sabato h 14-18)
Web site: http://www.centrojazztorino.it
Prossimi appuntamenti
ELLIOTT SHARP SOLO ACOUSTIC GUITAR
The Velocity of Hue
ELLIOTT SHARP, chitarra acustica
MARCO TARDITO AMARILLI QUARTET
Multivision
MARCO TARDITO, sax alto e arrangiamenti
GIORGIO GIOVANNINI, trombone
STEFANO RISSO, contrabbasso
FRANCO D’AURIA, batteria e percussioni
IMMAGINI A CURA DI ROBERTO TIBALDI
ZOLLAR SYSTEM BIRD LIVES
Omaggio a Charlie Parker
JAMES ZOLLAR, tromba
PATIENCE HIGGINS, sax tenore
JAMES WEIDMANS, pianoforte
UGONNO OKEGWO, contrabbasso
BRUCE COX, batteria
STEFANO BOLLANI SMAT SMAT
STEFANO BOLLANI, pianoforte
ELIANE ELIAS EXPANDED TRIO
ELIANE ELIAS, pianoforte e voce
MARC JOHNSON, contrabbasso
SATOSHI TAKEISHI, batteria
di Cinzia Modena