Le campane di B…

Marzo 19, 2003 in Racconti da Tiziana Fissore

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Nel paese di B…, racchiuso in un’amena valle, circondata da monti non troppo alti, ricoperti di boschi, vivevano circa cinquemila persone di cui mille non credenti, mille credenti ma non praticanti, tremila praticanti di cui un centinaio veramente credente mentre i rimanenti duemilanovecento erano simili ai loro antenati, farisei, persone che si reputavano dei grandi cristiani perché frequentavano la chiesa e dicevano un tot di preghiere al giorno. Davanti a loro stessi si ritenevano dei prescelti da Dio; aiutavano anche i bisognosi, bisogna dirlo, ma perché così “doveva essere” ma senza amore o addirittura lo facevano per mettersi in mostra ed il più delle volte le persone da loro aiutate erano addirittura criticate, mal giudicate attraverso il pettegolezzo che girava per il paese simile ad un tam-tam. La frase ricorrente di questi ‘falsi cristiani’ era: “Sai, io l’ho aiutato anche se in realtà non lo meritava”.

Per soddisfare le esigenze religiose di questi prescelti ma anche per quel centinaio che veramente operava con discrezione mettendo in pratica la parola di Dio, per cui “La destra non sappia mai ciò che fa la sinistra”, vi erano nel paese ben dieci chiese che se anche meritavano un plauso dal punto di vista artistico e storico, rappresentavano pure loro una forma di religiosità del tempo passato falsa ed ipocrita. Vi erano le chiese dei Battuti Bianchi, dei Battuti Neri, delle Orsoline e così via, che erano state costruite in passato unicamente per mettere in mostra l’operato di un certo gruppo di persone e se da una parte bisogna ammettere che la congregazione portava avanti un valido discorso umano, grazie ai solito numero minimo di idealisti, non cooperava peraltro con le altre congregazioni. Infatti, quelli che seguivano il culto della morte o meglio dei condannati a morte (Battuti Neri) non cooperava con i mistici (Battuti Bianchi) che dedicava maggior tempo alla preghiera, come se le due cose non fossero le due facciate della stessa medaglia. La congregazione femminile poi (le Orsoline) era nata per unire le donne del paese e quindi, senza saperlo, rappresentava più un primordiale movimento femminista che religioso.

34165In pratica tutti nascondevano con i loro riti e le loro chiese un certo desiderio di mettersi in mostra o di fare un gruppo ristretto e non una comunità cristiana, senza pensare all’amore verso il prossimo anzi, in questo caso, la religione era una scusa bella e buona per raggiungere i loro scopi. Segno questo che l’umanità è sempre la stessa. Gli uomini e le donne di questa terra desiderano fare gruppo (perché sanno che da soli non ce la fanno) ma poi nasce il desiderio di prevaricare tra un gruppo e l’altro o addirittura tra una persona e l’altra e non si pensa a cooperare e collaborare tutti uniti per portare avanti la parola di Dio che era, è e sarà sempre una sola: Amore.

Ma ritorniamo alle nostre chiese; attualmente c’era la chiesa parrocchiale, maestosa, che faceva bella mostra di sé con le sue cupole, il suo alto campanile da dove proveniva il suono maestoso della campana più grande del paese.

C’era poi quella del santuario, dedicato alla Madonna, molto più femminile nel suo stile barocco con il suo campanile più piccolo, grazioso da cui proveniva il suono argentino di varie campane. E poi ancora la chiesa del cimitero, posta nel punto più alto, su una specie di terrazza naturale, severa, antichissima, pareva una chiesa anglosassone, con uno strano campanile dal quale però non risuonava mai la voce di nessuna campana, quasi ad uniformarsi col luogo sacro sul quale posava: ovunque regnava il silenzio.

34163C’erano poi le chiese minori che ogni tanto si facevano sentire, per esempio quando ricorreva la festa del santo al quale erano dedicate o quando c’era un funerale di qualche anima appartenente al quartiere dove sorgeva la chiesetta.

Non essendoci in paese molta unione tra la gente, era nata una strana competizione tra le diverse chiese e soprattutto tra le varie campane.

Se uno avesse potuto tradurre la ‘lingua campanaria’ avrebbe trovato le stesse pecche che si riscontravano nell’anima delle persone.

Alla domenica mattina, ad esempio, la grande campana della parrocchia diceva con voce altisonante: “ Zitte, zitte che parlo io. Venite fedeli, venite qui che vi aspetto. Questo è il luogo dove troverete Dio, mettete il vestito più bello, abbiate un portamento fiero come il mio, così tutti diranno: quello sì che è un vero cristiano”.

Naturalmente al vespro pomeridiano le campane del santuario dicevano con fare suadente: “Pazienza…stamani avete voluto ascoltare ‘quell’altra’ ma almeno oggi pomeriggio sentite quello che vi diciamo noi: venite qui o fedeli, ascoltate quello che la nostra voce argentina vi dice. Chi vi vedrà dirà che siete i migliori cristiani di questo mondo, che rinunciate alle cose effimere della vita per dedicarvi alla preghiera e voi farete bella figura”.

34164In questo clima di concorrenza anche le campane minori si montarono la testa ed era facile sentirle dire: “Venite fedeli, oggi è la festa del santo al quale è dedicata questa chiesa. Questo è un santo particolare, che soddisferà ogni grazia che richiederete. Venite gente, come il mio santo non ce n’è un altro” oppure “ oggi se n ‘è andata un’anima del mio quartiere. Eh se non ci fossi io a ricordarla col mio suono, passerebbe inosservata la sua dipartita” e così via. Sembravano più chiacchiere di mercato che non di luogo santo.

Evidentemente le parole delle varie campane che si disperdevano nel vento, venivano raccolte a livello inconscio dalla popolazione o è meglio dire che rappresentavano l’invidia, la rivalità, la presunzione che regnavano tra un quartiere e l’altro, tra un gruppo e l’altro, tra una persona e l’altra.

Fu così che questo bel paese che poteva avere tutto: una bella posizione, aria pura, albe lucenti e tramonti dorati, si trovò ad essere un paese povero perché senza amore, comprensione, carità che sono la vera ricchezza dell’uomo.

Successe tutto in una notte di aprile; era piovuto sin dal mattino, in modo quasi innaturale, il cielo era grigio ardesia che dava un senso di notte continua; l’atmosfera opprimente gravava sulla vallata, nessuno osava uscire di casa per non affrontare la pioggia sferzante e nessuno pensò di salire un po’ più in alto, dove c’era una piccola diga naturale, per verificare come stavano le cose, ognuno diceva: “Tocca a chi di competenza. Facciano gli altri, io non c’entro”.

E fu così che in piena notte si udì un boato, come se la terra si aprisse per inghiottire ogni cosa e non vi fu più tempo per fuggire. L’acqua della diga si riversò nella piccola valle e l’intero paese si ritrovò sommerso. Quando la furia si fu placata, dicono quelli dei paesi addossati sui pendii dei monti vicini, si sentì un rintocco lugubre che mai si era udito prima: era la campana del cimitero che diceva: “Venite fedeli, venite in umiltà nel luogo del silenzio, dove la parole non contano, né la vanità, né le effimere certezze umane. Questa volta venite tutti assieme, uniti nella grande casa”.

Ora al posto del paese vi è un lago artificiale e sotto giacciono le rovine delle case di un tempo e qualcuno dice che in certi giorni, quando il vento accarezza l’acqua, si può sentire un suono di campane in lontananza, attutito, in sordina. Chissà se è vero e se sì cosa vorranno dire?

di Tiziana Fissore