L’abisso

Aprile 9, 2007 in Libri da Redazione

Titolo: L’abisso
Autore: Gianluca Morozzi
Casa editrice: Fernandel
Prezzo: € 13,00
Pagine: 186

LRoma. 28 marzo. Sono le 18:30. Saremmo dovuti arrivare alla “Libreria del Testaccio” già da un po’. Ce lo siamo perso, è l’unico pensiero che ci rimbomba per la testa. Gianluca Morozzi è qui, nella capitale, per presentare il suo ultimo lavoro e noi ci lasciamo sfuggirel’occasione di incontrarlo. Entriamo in ogni caso per salutarlo. Invece…

“Benvenuti!”. Ci accoglie con la sua proverbiale alzata di sopracciglio, un mezzo sorriso. Allunga il braccio, indicando le sedie: “Facciamo sedere il pubblico. Ho appena cominciato”. Ci sediamo, molto più a nostro agio di quando siamo entrati, un po’ in imbarazzo e timorosi per il lieve ritardo. Nella sala poche persone, ma questo rende più intima e speciale questa occasione.

L’uscita di un nuovo libro di Gianluca Morozzi è sempre un piccolo evento, un calarsi nelle atmosfere misteriose e familiari di Bologna e dei personaggi che la vivono. Perché chi ci ha vissuto sa perfettamente che le storie da raccontare possono essere infinte. Perché Bologna racchiude tutto quello che un bravo scrittore cerca: libertà, luoghi di culto, una passione (in)sana per lo sport, musica che sembra salire dalle viscere della città. E soprattutto tanti studenti, che si avvicendano per i portici, sotto le torri, nelle piazzette piene di individui mescolati a birra, chitarra e canzoni.

“L’abisso” torna a battere queste solite vie, mescolate al thriller angosciante, a cui questo “giovane scrittore” (anche se l’appellativo “giovane” mal si addice, visto che ha all’attivo almeno nove romanzi e decine di racconti) sta avvicinandosi, gradualmente (memorabile “Blackout”, di cui abbiamo già parlato). Gianluca racconta, soffermandosi su ogni particolare, la storia del suo nuovo personaggio. Un ragazzo cresciuto nell’ombra della madre, sull’Appennino tosco-emiliano, trasferitosi a Bologna per studiare giurisprudenza. Un ragazzo succube, per molti anni, degli scherzi dei compagni di scuola ma che, dopo un incidente stradale, cambia radicalmente. Un cambiamento che lo porterà, come suggerisce il titolo, nel baratro più profondo.

La vicenda è ispirata a dei fatti di cronaca nera: decine di studenti che, dopo aver vissuto la vita universitaria alle spalle dei genitori (falsificando le votazioni, senza nemmeno presentarsi agli esami), nel giorno della tesi si uccidevano. O ammazzavano i genitori stessi.

Gianluca Morozzi ha voluto calarsi nei panni di uno di quegli studenti, indicando questa caduta come l’ultimo ruzzolone per raggiungere il fondo dell’abisso. Il nostro (anti)eroe, infatti, alla prima pagine del romanzo è seduto su un divano, con una serie di bottiglie di birra vuote ai suoi piedi (proprio come nel disegno di copertina). Ha a disposizione 24 ore. 24 ore per trovare una soluzione. Un lungo calvario, una discesa nell’inferno bolognese, con il tam-tam del tempo che scorre che, di pagina in pagina, diviene sempre più impetuoso, forsennato.

Uno degli elementi divertenti delle opere di Morozzi, è la presenza di personaggi ricorrenti, che a volte sono solo piccole comparse, a volte protagonisti e altre delle semplici visioni (proprio come ha sempre fatto il grande Kurt Vonnegut, uno degli scrittori più originali dell’America contemporanea). Anche ne “L’abisso” ritroviamo qualche vecchia conoscenza de “L’era del Porco” ma, soprattutto, torniamo nel Pink Cadillac (con un senso si brivido per la storia che porta sulle spalle). E’ come se Gianluca creasse un universo a sé, in cui individui bislacchi si incrociano e vivono, inquieti e folli.

L’incontro è ormai finito, Gianluca si alza, elargendo sorrisi e saluti, trattando ogni suo lettore come un vecchio amico (ed alcuni, immagino, in effetti lo sono). Lo salutiamo, con la proposta di un’intervista nell’aria. Usciamo dalla libreria, con la sciocca illusione di camminare per le vie della Città Rossa, sentendo nell’aria quel suo odore caratteristico, che solo qualcuno che ci ha vissuto riconosce alla perfezione. E camminiamo, ormai convinti di avere solo 24 ore: 24 ore per poter risalire o lasciarsi cadere nell’abisso, per l’eternità.

di Alice Suella