La meteora di Čeljabinsk

Settembre 15, 2013 in Attualità, Medley, Punti di Vista, Racconti da Meno Pelnaso

Quando, in quella fredda mattina del 13 febbraio 2013, Aleksandr Sergeevič, detto “Medved” (“Orso” in russo) per la sua barba fluente e la diffusa villosità, si rende conto che c’è qualche cosa che non va in quella scia che solca il cielo, quel coso ha già attraversato un quarto dell’orizzonte, appannato e ghiacciato, della sua scassatissima auto.

Rallenta un po’ spaventato.

Caspita se fila veloce quel coso!

Il primo pensiero va alla guerra che raccontava suo padre.

Se fosse un missile degli americani?

Poi, con un moto d’orgoglio, per la sua stupefacente capacità analitica, si convince che nessuno sarebbe così stupido da attaccare il suo grande paese.

Neanche il più stupido dei guerrafondai penserebbe di fare una simile sciocchezza nel secolo dove le superpotenze potrebbero distruggere decine di volte l’intera terra solo schiacciando un bottone.

Questa considerazione spazza via l’ansia, ma non completamente.

Torna ad accelerare perché si rende conto che è già in enorme ritardo.

  • “Questa volta Piòtr mi licenzia!” – dice ad alta voce.

Il coso però non è solo.

È accompagnato da altre scie più piccole e un po’ più lente …

… se si può chiamare lento un oggetto che viaggia presumibilmente a un centinaio di migliaia di chilometri all’ora.

La preoccupazione torna lentamente in superficie.

Aleksandr, con una mano guantata pulisce il vetro e con l’altra gira la telecamera appesa allo specchietto retrovisore verso la scia. La tiene sempre accesa mentre guida, perché guidare fuori città spesso è un’avventura e molti suoi amici si sono salvati grazie alla testimonianza di quel piccolo aggeggio comperato di seconda mano.

In questo caso non sa se potrà essere utile, ma forse servirà a giustificare il suo ritardo in azienda.

Con quale scusa?!?!

Cosa andrà a dire a Piòtr?

Sono in ritardo perché sono atterrati gli extraterrestri?

Già gli extraterrestri …

Cosa verrebbero a cercare qui in mezzo alla neve degli Urali?!?!

D’altro canto, perché non se ne stanno a casa loro?

Accelera ancora.

Abbiamo già tanti altri problemi qui senza che vengano ancora ‘sti tizi verdi a rompere le scatole!

Accelera sulla neve, compattata da qualche camion nella notte, che nessuno ha ancora spalato sulla strada semideserta in mezzo al nulla.

E nessuno spalerà!

Se fosse un satellite o un’altra stazione spaziale che cade perché non ci sono più i soldi per tenerla in orbita?

Come era successo alla MIR.

Peccato per la MIR.

Gli piaceva l’idea che fossero arrivati a farla prima degli americani!

Un’altra volta dopo lo Sputnik, Gagarin e gli altri successi della gara alla conquista dello spazio.

Quando lui sedeva sulle ginocchia di suo padre per vedere le foto in bianco e nero che pubblicavano sul giornale.

Di nuovo il senso di orgoglio lo fa raddrizzare sul sedile.

Peccato solo per la luna!

E la rabbia di un trofeo perduto comincia a montare e a sostituire l’agitazione per il ritardo, per quello che dovrà inventarsi con Piòtr e per il coso, che nel frattempo sta raggiungendo la città ad una velocità incredibile, lasciando dietro di se una scia di fumo bianco.

Senza accorgersi ha schiacciato l’acceleratore a tavoletta e la vecchia macchina sta ormai gemendo per lo sforzo

Se invece fosse un meteorite come a Tunguska?

Quella volta, nel 1908, aveva abbattuto e incendiato un’intera foresta, ma nella notte dei tempi i meteoriti hanno anche sterminato ed estinto intere forme di vita!

Ne erano cadute tante anche nel 1949 e sempre qui …

Un fosco pensiero gli attraversa la fronte corrucciata.

E se questi fossero gli ultimi attimi della vita sulla terra?

Di nuovo, senza rendersi conto, toglie il piede dall’acceleratore e l’auto sembra tirare un respiro di sollievo.

E se cadesse direttamente su Čeljabinsk?

Beh … in quel caso addio città, addio stabilimento e addio Piòtr.

Beh, di Piòtr non gliene può fregare di meno …

… quello stronzo prepotente, …

… se ne approfitta solo perché è il nipote del direttore del reparto, …

… ma di quella biondina della bettola poco lontana dalla fabbrica, …

… quella dove va a bersi qualche cosa quando esce dallo stabilimento, …

… per combattere il freddo, dice, …

… rifiutando la compagnia degli amici, …

… per vederla …

Quella biondina dalle guance rosa e le tette grandi aveva attirato la sua attenzione di scapolo da quando era arrivata qualche mese fa.

Aveva cercato di farle la corte tante volte, ma lei sorrideva, faceva un urletto se la mano si avvicinava troppo alle sue curve, e scappava in cucina.

A proposito, stava proprio arrivando alla bettola.

Se questi devono essere gli ultimi minuti dell’umanità, tanto vale farsi un bicchiere!

Anche due!

Si ferma in una nuvola di fumo denso che la vettura ha emesso come se fosse un sospiro di sollievo.

Entra di corsa nel locale senza chiudere la macchina.

Se fra un po’ ci estingueremo, a cosa serve chiudere l’auto?!?!

Nello stanzone scuro, pieno di tavoli e sedie di legno alla rinfusa, ci sono solo: il solito ubriacone, che sonnecchia al caldo nell’angolo vicino alla stufa a petrolio, e la biondina al banco che sta passando pigramente uno straccio logoro.

Nessuno mette mai in ordine i tavoli e le sedie.

Medved si rende improvvisamente conto che non conosce ancora il suo nome.

  • “Ciao, visto che non sappiamo se vivremo ancora a lungo, dammi una vodka e un bacio!” – ordina perentorio, ma con un leggero accenno di sorriso ebete sulle labbra. – “Ah, e vorrei anche sapere come ti chiami. Io sono Aleksandr, ma puoi chiamarmi “Medved”.”

Certo che non si bada ai preamboli oggi.

Fino a ieri sembrava che non avesse neppure il coraggio di chiederle il nome.

Quanto coraggio può infondere la fine del mondo!

La ragazza, dapprima sorridente, lo sta guardando con la fronte corrucciata.

  • “Perché parli in questo modo?” – lo apostrofa la biondina.
  • “Perché stiamo per essere invasi dagli extraterrestri o ci sta cascando un meteorite sulla testa e, visto che non so cosa succederà domani, se i miei giorni devono finire oggi, voglio che finiscano con una bottiglia di vodka e tra le braccia della più bella donna che abbia mai visto!” – risponde l’orso.
  • “E chi sarebbe questa fortunata?” – risponde lei sorniona, mentre appoggia sul banco la bottiglia con un bicchiere leggermente sbrecciato.
  • “TU!”
  • “Grazie! Ti sei guadagnato un giro di vodka, ma per un mio bacio ci vorrà qualche cosa di più …”

Un boato la interrompe soffocando le ultime parole e la mole di Aleksandr, in piedi di fronte a lei, la salva da una pioggia di frammenti di vetro.

Tutte le finestre del locale sono letteralmente esplose per il boato.

L’ubriacone è cascato dalla sedia ed è a terra intontito e ricoperto di vetri.

Il giaccone pesante di Medved e il cappello imbottito lo hanno protetto dalla pioggia di frantumi, ma la bottiglia di vodka è stata spezzata e versa vodka sul bancone.

La ragazza è in preda all’isteria e sta urlando, piangendo e tremando come una foglia.

La testa di Medved gli gira e le orecchie gli ronzano come se qualcuno gli avesse rotto una bottiglia sulla testa.

Aleksandr si rende conto che l’esplosione deve essere avvenuta lontano dal locale, in caso contrario non sarebbero esplose solo le finestre, sarebbero probabilmente ormai tutti morti!

Così salta il bancone, con inaspettata agilità, e abbraccia la ragazza cercando di consolarla.

Il rimbombo si sta lentamente perdendo in lontananza.

Non si rende conto del tempo che scorre.

Quanti minuti o ore passano prima che la ragazza smetta di tremare, avvolta dalle braccia forti e dal calore dell’orso?

Va bene così.

Guarda inebetito fuori dal buco che è rimasto dove prima c’era una finestra, stringendo forte a sé la ragazza.

Non sa cosa aspettarsi né cosa deve fare ora.

Aleksandr non si ricorda l’ultima volta che aveva stretto una donna.

Sembra di tenere tra le braccia un uccellino.

Se deve proprio morire, spera che succeda subito, senza dover attendere, senza dover più andare in fabbrica, senza doversi scusare ancora con Piòtr per il ritardo.

A proposito.

Se è esploso tutto, non deve più giustificarsi di nessun ritardo!

Già!

Ma se è esploso tutto, non ha neppure più un lavoro!

  • “Vieni usciamo a vedere!” – ordina alla ragazza.

Scavalca l’ubriacone seduto a terra intontito, un po’ per l’alcool e un po’ per il botto, ed esce dal locale trascinandosi dietro la ragazza che non fa alcuna resistenza.

Quell’uomo è grande e ha un buon profumo, leggermente selvatico forse …

Ha un sorriso buono.

Si sente protetta.

Fuori non sembra che il mondo sia esploso e la vita estinta.

Alcune macchine hanno fatto un tamponamento a catena.

I guidatori sono scesi per guardare cosa è successo e girano attorno alle auto come sonnambuli, increduli, guardando verso il cielo.

Un paio sono finite nel campo di fianco alla strada, immerse nella neve alta.

Nessuno fiata.

Il silenzio è irreale.

I vetri delle poche case in lontananza sembrano tutti in frantumi e le finestre appaiono come buchi neri da cui gli abitanti guardano fuori allibiti.

Una nuvola bianca in cielo sovrasta la zona oltre la città e si espande sopra il lago Čebarkul’.

Sembra che il cielo sia esploso.

  • “Cosa succederà adesso?” – dice la ragazza con gli occhi carichi di lacrime, stringendosi all’orso.

Aleksandr si china verso il suo viso.

La testa gli gira ancora e le orecchie gli fischiano, non capisce bene se per le conseguenze del botto o per la ragazza che tiene tra le braccia.

È bellissima e le sue guance, rigate dalle lacrime, sono di un pallore innaturale.

Avvicina le labbra alle sue e le da un bacio con infinita delicatezza.

Sembra impossibile per quel gigante.

Le gote della biondina diventano improvvisamente rosse.

  • “Niente, non ti preoccupare!”

Lei restituisce il bacio dal sapore misto di lacrime salate e di gomma alla fragola.

  • “Entriamo, fa freddo”

Probabilmente oggi non interesserà a nessuno il suo ritardo.

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Già!

Probabilmente l’umanità non si estinguerà oggi!

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Affettuosamente Vostro

Meno Pelnaso

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