La giocatrice di Go

Maggio 14, 2003 in il Traspiratore da Stefania Martini

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La giocatrice di Go, di Shan Sa – Bompiani, 221 pagine, 14,50 euro

Come è iniziata questa storia? Abitavo in Giappone, lei in Manciuria. Un mattino di neve, il nostro reggimento si è imbarcato verso il Continente. Dal ponte si vedeva un mare nebbioso assillato dal fragore delle onde. Il territorio cinese, invisibile, restava per me un’idea astratta. Da questa immobilità grigia sono emerse le ferrovie, le foreste, i fiumi, le città. I sentieri tortuosi del destino mi hanno portato in Piazza dei Mille Venti, dove l’adolescente mi aspettava.

Questo potrebbe essere l’inizio dello struggente romanzo che Shan Sa, giovane autrice cinese trasferitasi in Francia nel 1990, dopo la sanguinosa repressione degli studenti sulla piazza Tien-an-men, ha scritto nel 2001 e che ha vinto, nello stesso anno, il Prix Goncourt Lycéens.

Ambientato in Manciuria, nel 1931-32, il romanzo ha 4 quattro “protagonisti”.

LEI Una sedicenne liceale cinese, alle prese con i problemi degli adolescenti di ogni tempo e di ogni luogo: la famiglia, la scuola, il primo amore. Ma, soprattutto, una grande passione: il go. Qualunque avvenimento sconvolga, in positivo come in negativo, la sua tranquilla esistenza, il punto fisso di questa giovane è la piazza dei Mille Venti, con i suoi tavoli di pietra su cui sono tracciati i goban.

I vecchi – i giocatori accaniti – ci passano la giornata. Il ventaglio in una mano, la teiera nell’altra, la gabbia degli uccelli appesa a un ramo, arrivano all’alba e se ne vanno alla fine del pomeriggio. I contenitori di pedine scoperti indicano che aspettano un appuntamento; chiusi vogliono dire che sono liberi e sollecitano una sfida.

Per lei il go è la metafora dell’equilibrio, dell’esistenza, della felicità.

Ogni pedina è un passo in più verso le profondità dell’animo. Ho amato il go per i suoi labirinti. Il go trascende il calcolo, è un affronto all’immaginazione. Imprevedibile come l’alchimia delle nubi, ogni nuova formazione è un tradimento. Il go è il gioco della menzogna.

LUI Un ufficiale dell’esercito imperiale giapponese. Un guerriero invasato, traboccante della cultura del samurai, che alla tradizionale spada ha affiancato il fucile.

L’esercito era per me un’arca gigante, capace di sfidare tutte le tempeste. L’Hagakure era il libro-faro che mi guidava nel viaggio dall’adolescenza alla maturità. Mi sono preparato a morire.

Un invasore pronto a tutto, al servizio del suo Imperatore e del grande sogno, che disprezza i cinesi. I giapponesi avevano scelto di essere gloriosi nell’azione, i cinesi nella morte. Uccidersi troppo rapidamente è una capitolazione vergognosa. La civiltà cinese, plurimillenaria, ha nutrito un numero infinito di filosofi, di pensatori, di poeti. Ma nessuno di loro ha capito l’energia insostituibile della morte. Solo la nostra civiltà, più modesta, ha cercato l’essenziale: agire è morire; morire è agire.

IL GO Uno dei giochi tradizionali più antichi.

Secondo la leggenda, la Cina ha inventato questo gioco straordinario quattromila anni fa. Nel corso della sua lunghissima storia, la sua cultura si è consumata e il go ha perso la sua raffinatezza, la purezza delle origini. Introdotto in Giappone centinaia di anni dopo, meditato, perfezionato, questo gioco si è trasformato, lì, in un’arte divina. Ancora una volta, il mio paese ha dimostrato la sua superiorità sulla Cina.

Su una tavola quadrata, le pietre del go giocano su 361 incroci dati da 19 linee orizzontali e 19 linee verticali. I due giocatori si dividono così questa terra vergine e confrontano alla fine l’estensione dei territori occupati. I cavalieri del go, creativi e agili, si piegano a spirale: l’audacia e l’immaginazione sono le virtù che portano alla vittoria.

LA GUERRA Quella di invasione della Cina da parte delle truppe imperiali del Sol Levante. Hirohito, salito al trono nel 1926, portò avanti il sogno espansionistico di allargamento del suo Impero a tutta l’Asia Orientale. Nel 1931 le truppe giapponesi occuparono l’intera Manciuria, che fu proclamata “Stato indipendente” nel febbraio del 1932.

La leggenda dice che il Giappone è un’isola che galleggia sul dorso di un pesce gatto i cui movimenti provocano terremoti. Non potendo uccidere il dio responsabile di tutto ciò (si riferisce al terremoto che rase al suolo Tokyo nel 1918 e in cui perse la vita il padre di Lui), dovevamo prendercela con il Continente. La Cina, infinita e stabile, era a portata di mano. Era lì che avremmo assicurato un avvenire ai nostri bambini.

Eccoli i perni su cui ruota questo romanzo, che si respingono, si intrecciano, si sovrappongono e si allontanano. Due vite così diverse, che per uno strano gioco del destino si incontrano davanti ad una scacchiera di go; due storie raccontate dagli stessi protagonisti, in un crescente parallelo; due culture in guerra, fino al colpo di scena finale.

Il Traspiratore – Numero 43 – 44

di S. Martini