La bufera di Tropea

Luglio 5, 2002 in il Traspiratore da Redazione

31349Il mare in burrasca bagnava le mattonelle del lungomare di Tropea, onde alte fino a tre metri facevano cozzare tra loro le barche ormeggiate al piccolo porto. Densi nuvoloni color cenere adombravano la spiaggia dalla sabbia fine, riducendola a un triste campo di fango e melma. Gran parte degli sdrai e degli ombrelloni erano stati ritirati dai bagnini, alcuni, invece, galleggiavano al largo per un po’, e poi affondavano.

Le previsioni metereologiche l’avevano annunciato come un normale temporale estivo, di quelli con vita breve; invece il ciclone tormentava la regione da più di due giorni, e non accennava ad alcuna flessione.

Le giornate di Marta scorrevano lente e noiose, il naso schiacciato contro il vetro della finestra e gli occhi fissi su una pozzanghera, sempre più grossa.

Aveva tredici anni, zigomi sporgenti che incorniciavano un sorriso stupendo, i capelli chiari raccolti in due codini e un piccolo nasino. Martina era davvero bella e se n’era accorto anche Luca, il suo fidanzatino del mare, che non la smetteva mai di baciarle le guance e, a volte, di sfiorarle le labbra con le sue.

Erano quasi tre giorni che non si vedevano e Luca era stufo delle partite a briscola giocate con mamma e papà. La televisione era inutilizzabile, visto che il vento aveva sradicato l’antenna dal tetto e la corrente elettrica funzionava a singhiozzo, così , ogni quarto d’ora, Luca si distraeva aggiornando l’orologio digitale nella camera dei suoi.

“Mamma, telefono a Marta”

“Sì, ma fai in fretta. Lo sai che bisogna lasciare le linee libere per i casi urgenti”

“Solo un minuto”

La casa dell’amichetta era a due minuti di cammino dalla sua, ma era impensabile uscire con quella tempesta.

“Buongiorno, sono Luca. Mi può passare Marta per cortesia?”

“Ma sono io; possibile che non riconosci mai la mia voce per telefono?!”

“Oh, scusa. E’ che cambia così tanto. Come stai?”

“M’annoio a morte. Si sono pure scaricate le pile del Game Boy e non ne ho di ricambio”

“Io ho le pile ma non ho il Game Boy; certo che siamo proprio messi bene!”

“Già. Hai sentito la radio? Sembra che domani la smetta di romperci le palle ‘sto schifo di pioggia”

“Speriamo; non vedo l’ora di uscire da questo buco. Ho le mani consumate a furia di mischiare le carte”

“Beh, adesso devo salutarti; il telefono serve a mia madre. Ci vediamo domani”

“Ciao”

La mattina seguente i rumori delle ruspe svegliarono i due amici. I cingolati liberavano le strade dai detriti scaricati dalla bufera, mentre le nuvole piangevano le ultime gocce di una lieve pioggerellina.

Luca, infilati i boxer e la canottiera rossa, correva sciabattando per il viale verso la casa di Marta, facendo lo slalom tra cassette di legno e tavolini da giardino. La ragazza lo aspettava sulla soglia della porta, indecisa se saltare la grossa pozzanghera che ostruiva l’uscita o aspettare di salire sulle spalle del fidanzatino.

“Dai salta”, la incitava Luca.

“Ho paura di rovinare i sandali nuovi”

“Vabbè, ho capito” Il ragazzo, immersi i piedi nell’acqua fino alle caviglie, offriva la schiena a Marta; bacino sulla guancia, e via di corsa a vedere il casino che aveva combinato la bufera.

“Ho anche la macchina fotografica”, urlava la ragazzina sorridente, mentre cercava di tenere il passo del veloce Luca.

“Corri, vieni a vedere che macello”

Il parco, dove avevano trascorso tanti pomeriggi, era stato completamente spazzato via. Niente panchine, né scivolo; inspiegabilmente era rimasto, ben saldo al suo posto, solo il cestino dell’immondizia.

“Clik, clik”, aveva scattato Marta, mentre Luca correva giù, verso la spiaggia.

“Hai il peperoncino nel sedere oggi?Mi vuoi aspettare…”

“E dai; muovi ‘sto culone da balena!”, la sfotteva da lontano il giovane, curioso di vedere tutti i disastri al paese. Martina andava molto fiera del suo didietro e, quand’era in costume, si coricava sempre sulla pancia. Ne andava di conseguenza che Luca la prendesse in giro continuamente, con appellativi inimmaginabili.

Tropea era davvero sconvolta. Orde di negozianti lamentavano lo scarso impegno dei vigili del fuoco, mentre tentavano di salvare i pochi oggetti risparmiati nelle botteghe allagate. I semafori, orizzontali lungo i marciapiedi, lampeggiavano un giallo agonizzante e i cartelli disegnavano figure geometriche sul selciato della strada.

“Guarda laggiù! La ‘Guardiola’ non ha più il tetto”, aveva esclamato Marta, mentre scattava una fotografia dietro l’altra. La Guardiola era il ritrovo dei ragazzini della zona; c’era il bar, la sala giochi e Pasquale, che faceva delle pizza squisite.

Marta e Luca passeggiavano a piedi nudi sulla fanghiglia che pochi giorni prima era sabbia color oro. Mano nella mano, guardavano le onde calmare la loro rincorsa e scivolare sempre più dolcemente a riva.

“Clik, clik”

“E basta con ‘ste foto” Luca le strinse la vita e si diedero un lungo bacio, solleticati dalla schiuma bianca e salata.

Il Traspiratore – Numero 37-38

di G. Ventura