L’isola che c’è
Novembre 10, 2002 in Libri da Gustare da Stefano Mola
Gaetano Basile, “Sicilia L’isola che c’è”, Dario Flaccovio Editore, pp. 269, Euro 15,49
Prima di andarci, io non sapevo che cos’era la Sicilia. Banale, direte voi, allungando la mascella in uno sbadiglio. Eppure io credo che ci siano posti conosciuti in anticipo. Non sto parlando di dejà vu, reincarnazione eccetera. Capita che dentro di noi, arrivataci per chissà quali invisibili strade, ci sia l’idea di un luogo senza ancora averlo calpestato.
Si può discutere a lungo se sia meglio arrivare vergini di spirito, oppure stropicciando con le mani la ricevuta per l’anticipo di un’emozione. O se sia importante soltanto avere gli occhi pulitamente aperti per lasciar entrare tutta la luce che c’è. Forse l’unica cosa che conta davvero è essere pronti a vibrare (penso a quel fenomeno per cui la corda di una chitarra lo fa per risonanza se una corda vicina viene stimolata con una certa frequenza).
Della Sicilia avevo un’idea vagamente geografica, un insieme di toponimi disposti in modo più o meno esatto. E adesso? Non saprei rispondere in poche parole. Visto che di cose banali ne ho già dette molte, ne aggiungo ancora una: la Sicilia mi è rimasta nel cuore. È la storia squadernata davanti a noi, un riassunto lasciato lì di tutto quello che è successo dai Fenici in avanti: Selinunte, la valle dei Templi di Agrigento (e altro, altro). È le colline al tempo stesso dolcissime e arse prima di raggiungere Piazza Armerina arrivando da sud, da Ragusa. È la fastosa, struggente decadenza barocca di Noto. È la processione vista a Zafferana Etnea sotto una luna enorme. È girare per Marsala cercando un ristorante aperto in pieno agosto e finalmente trovare una vineria dove scoprire il profumo sprigionato da un calice di Nero d’Avola. È sentirsi come Ulisse facendo il bagno di fronte alla parete a picco sul mare di Eraclea Minoa. È il miracolo del Duomo di Monreale, dove tutto è mosaico dal soffitto alle pareti. È fermarsi nel buio totale della strada che si arrampica sull’Etna per vedere uno zampillo rosso di lava squarciare il nero della notte.
La Sicilia è tutto questo e ancora di più. Soprattutto, è un ossimoro, un amalgama di contrasti: la chiesa barocca nella Vucciria incastonata tra case poverissime, senza soluzione di continuità. Scusate se come sempre mi sono lasciato andare con la memoria, trascinato dall’ego. Però tutte queste cose mi venivano in mente (e molte altre ne ho scoperte) sfogliando questo ricco libro di Gaetano Basile, che, come dichiara nell’introduzione, cerca di raccontarci “la sua Sicilia”.
Questo libro è un viaggio sul filo dell’emozione, della memoria, della favola, del gusto, della cucina, della letteratura, della curiosità. Scritto da un siciliano che è andato e poi tornato, un giornalista dedito alla divulgazione di tutto quello che ha a che fare con la sua isola. Parlare di viaggio è forse incompleto: domina infatti una dimensione fortemente narrativa, quasi orale, un racconto dietro il quale si indovina una voce, dal tono pacato, lievemente disincantato e al tempo stesso umanamente ed emotivamente partecipe in modo forte e radicato. Valga come esempio per tutti il modo in cui vengono scolpite le figure della sezione “Incontri di viaggio”: il pescatore Pippo Cuzzupè, e la scena bellissima delle donne che spezzano il pane per imboccare il vecchio, perché questi, avendo versato il sangue del pesce, non può toccare il pane, che è grazia di Dio.
Ma questa non che una delle tante immagini, dei tanti racconti. L’unica cosa da fare è accovacciarsi ad ascoltare.
di Stefano Mola