Io, Roberto ed Andrea
Febbraio 15, 2002 in il Traspiratore da Redazione
Quando riaprì gli occhi li aveva di un nero intenso, quasi fosse incazzato di essere svenuto.
“Ma che è successo?” domandò Roberto con aria subito minacciosa.
“E che vuoi che ne sappia io? – provai a difendermi – Sono arrivato e ti ho trovato steso a terra. E’ tutto quello che ho da dirti.” Sapevo che non me la sarei cavata a così buon prezzo e dentro di me avevo già studiato la mia prossima mossa. La migliore delle armi in situazioni simili a queste: la fuga.
Non appena m’avvidi che la mia risposta non aveva dato gli effetti sperati, mi girai e scattai verso la fermata del bus, nel vano tentativo di acchiappare il 63/, che stava già chiudendo le porte e lasciando la pensilina. Mi girai, ma Roberto stava ancora sdraiato, nella stessa posizione in cui l’avevo abbandonato; mi chiamava con voce stanca e un po’ scocciata, o almeno così io l’avvertivo; mi diceva di tornare ad aiutarlo, ché da solo non ce la faceva a rialzarsi.
Mi avvicinai cautamente al corpo robusto e muscoloso del più bullo del quartiere, quello che ti spacca la faccia anche solo se lo guardi in maniera a lui non gradita. Lui m’invitava con lo sguardo ad aumentare il passo, e così feci. Gli diedi la mano e provammo la non facile opera di “verticalizzazione”.
“Lasciami il braccio, adesso – mi ringraziò Roberto – e che questa storia non esca dalla tua bocca: lo dico per il tuo bene.
Nel frattempo Andrea, uno denominato “Novella 2000” per la sua discrezione, veniva nella nostra direzione.
“Ehi, ragazzi! Che fate soli soletti: i froci?”
Un destro scagliato con forza da cinghiale si andò a schiantare sui miei denti.
“Questo è tanto per mettere le cose in chiaro, per levarti ogni dubbio, caro Andrea”. “Scusami amico, non avevo scelta”.
“Figurati” sibilai in risposta; il viso bagnato da una macchia di sangue. Mentre Roberto correva con fare minaccioso dietro alla spia del paese, io raccoglievo due molari ed un incisivo.
Mi ha detto: ‘Scusami, amico’, pensavo tra me. A me amico. Chi l’avrebbe mai detto. E mi diressi con fare mesto verso casa, pensando a cosa raccontare a mia madre non appena mi avesse visto tornare in quello stato.
Ma questa è un‘altra storia, che preferisco risparmiarvi.
di G. Ventura