Il surrealismo in cucina

Luglio 18, 2005 in Libri da Gustare da Simona Margarino

Titolo: Il surrealismo in cucina tra il pane e l’uovo – A tavola con Salvator Dali’
Autore: Marina Cepeda Fuentes
Casa editrice: Il leone verde editore
Prezzo: 9.00 €
Pagine: 122

Quando avevo sei anni volevo diventare cuoca e a sette Napoleone

[Salvador Dalì, Vita segreta]

Il surrealismo in cucinaMettere uova a diventar sode contro il sole sul tetto di un museo, spendere gli anni dell’ebollizione a impastar oli su una tela, spennellare visioni surreali, divertirsi a fare l’amore, combattere con il pane-fallo della rivoluzione, lisciarsi i baffi spioventi, ogni tanto, chiedere cose impossibili, “Vull cebes, voglio cipolle”*, e infine, quando tutto è pronto, godere lussuriosamente del cibo, voluttuosamente lasciarsi andare. Quel che Marina Cepeda Fuentes, giornalista spagnola, resuscita in Il surrealismo in cucina (2004, Il leone verde), a cento anni dalla sua nascita, è lo spiritello-Dalì, l’eccentrico ribelle, il catalano dalla berretina in testa, le espradrilles ai piedi e una gola degna di Pantagruel, con tutte le sue voglie.

Dal cordone ombelicale e l’utero materno alle tradizioni culinarie dell’Empordà, Salvador Dalì sviluppa uno stimolo viscerale verso qualsiasi alimento arrivi in bocca, l’organo da cui parte la verità suprema, nell’abbraccio distruttore e finale dei molari, pronto sempre per la paranoia o il delirio della digestione, “come i pescatori di Cadaqués, che sugli angeli barocchi e splendenti dell’altare della loro chiesa appendono aragoste vive per far sì che l’agonia di questi animali permetta loro di seguire meglio la passione della santa messa”. ** L’ossessione sta nello schiacciare sotto i denti il cranio degli uccellini per succhiarne il midollo o nello stritolare le ossa delle beccacce frollate e quasi putrefatte, assaporando i giorni con ferocia per spremere meglio il succo di un gusto da comprendere e mai rifuggire.

Aneddoti, ricordi, curiosità, sfilze di ingredienti formano una catena che ha lo stesso scopo della collana di lucciole infilzate e offerte dai payeses alle ragazze: ammaliare. Gli anelli sono Un ritratto di Gala con due costolette di agnello sulla spalla (1933) e Gala con aragosta***, prugne cotte a colazione, le corse in cucina a sorbire l’erotismo di un donnone dai fianchi poderosi e le mani arrossate, Un aereo di carne (1933), la menta piperita della tisana, l’odore dell’uva misto a quello delle serve sudate e della pelle strappata alle cosce delle lepri, un Telefono-astice (1936), due pannocchie al collo di un busto di femmina, Pane francese medio con due uova al tegamino, senza tegamino, in groppa, che tenta di sodomizzare la mollica di un pane portoghese (1932), la botifarra dolça (salsiccia con limone, cannella e zucchero), il muso e la zampa di vitello, Autoritratto molle con pancetta arrosto (1940), triglie di roccia fritte, e ancora, a chiudere il gancio del monile, Costruzione molle con fagioli bolliti: premonizione della guerra civile (1936).

Sono opere da mangiare, sono pagine della storia di un genio, a modo suo, se questo fu. O le ricette di un matto, una filosofia di mandibole. Oppure semplicemente voracità da imitare affinché nelle Confessioni inconfessabili di ognuno, la vita, e non solo la pittura, sia “gastronomica, spermatica, esistenziale”. Al punto giusto di cottura, secondo il grado che ci spetta.

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* Questo gridava un giorno il piccolo Dalì –nato a Figueres, capoluogo dellEmpordà, l’11 maggio 1904- davanti a una vetrina, scambiando aglio per cipolle,-, inveendo come se lo stessero ammazzando, tutto per qualche dolciume natalizio casigliano, tutto per una passione sfrenata per il mangiare.

** 1973, Salvador Dalì, Comment on devient Dalì (Le confessioni inconfessabili)

*** Gala, moglie del poeta Paul Eluard, nel 1929 lasciò il marito e fu compagna di Dalì fino alla morte (morì nel 1982, Dalì nel 1989).

di Simona Margarino