Il sesto continente

Agosto 9, 2005 in il Traspiratore da Stefano Mola

Titolo: Antartide. Il continente blu
Autore: David McGonigal e Lynn Woodworth
Casa editrice: Edizioni del Capricorno
Prezzo: € 35.00
Pagine: 224

54_pag_04aCi sono posti che crediamo di amare ancora prima di averli calpestati, come ci sono vestiti che ci piacciono quando sono dietro una vetrina. Poi, quando ce li mettiamo addosso, ci fanno sembrare spaventapasseri. Non so voi ma, tra tanti posti di questa terra, io sono affascinato dall’Antartide. Non che ci sia mai stato. Forse, se ci andassi, dopo dieci minuti avrei un freddo cane e vorrei solo tornarmene indietro il più presto possibile.

Forse. Ma adesso, mi piace cullarmi nella sua idea. Cullare, amare, essere affascinati… di tutti e tre forse l’ultimo è l’unico che calza. Perché amare e cullare sono cose che con il caldo e l’abbraccio devono in qualche modo averci a che fare. Almeno la culla, che ci richiama l’idea di una mamma, e per una mamma, in media, l’amore è come il sangue. Quanto all’amare, per quanto limitata sia la nostra esperienza, sappiamo bene che è possibile dire di tutto e anche il suo contrario, e quindi probabilmente si può anche amare una massa ghiacciata con una superficie di 14,5 milioni di chilometri quadrati.

Ma essere affascinati, quello sicuramente sì. Possiamo sentire un vento soffice sotto la pelle che sappiamo ci potrebbe soffiare come piccole vele, ma al tempo stesso sapere di essere ben ancorati al nostro porto, senza che questo necessariamente ci sconvolga e ci dislochi, come l’amore può fare. Ma alla fine, direte voi, ce lo vuoi dire o no che cosa c’è in tutto questo ghiaccio che ti affascina?

Tante cose. Per esempio, l’estrema essenzialità. Luce, o buio. Quasi mai un’alternanza breve, piuttosto una secca alternativa.

Un giorno estremo che dura mesi. E soltanto cielo, mare, ghiaccio, che poi non è che un’altra forma dell’acqua del mare. E freddo. Molto freddo. Tanto freddo che la vita si manifesta per quello che è: un miracolo. Nessun appiglio. Nessuna illusione. E niente ammiccamenti. Ma neanche trucchi, inganni, colpi bassi. La grande massa bianca ci dice in faccia: io sono così, e sono tutti cavoli tuoi. Ma senza cattiveria.

La cattiveria è qualcosa da usare contro un nemico, oppure per un interesse, per ottenere qualcosa in modo sporco, per vendetta. Ma che cosa gliene può fregare all’Antartide di noi, così provvisori, goffi e limitati, che proviamo a muovere sulla sua superficie passi esitanti, e a costruirci sopra tende e baracche in cui nasconderci, che abbiamo bisogno di portarci dietro viveri e carabattole varie? Secondo me, all’Antartide, di noi non gliene importa niente.

Non che ci voglia male. È come una specie di saggio zen. Nel senso che lui ragiona su un altro piano, su un’altra scala temporale. E del resto, come potrebbe essere diversamente se per lui il giorno dura 6 mesi e poi dopo viene la notte che ne dura altrettanti?

E quindi l’Antartide ci può essere utile. I suoi spazi enormi, aspri, netti e bianchi ci riportano giustamente alla nostra piccolezza. Aiutarci a non dare troppe cose per scontate. Come allungare la mano, premere il tasto di un telecomando e zac, luce, rumore, storie. Microonde. Cibi in scatola oppure surgelati. Tutto facile, veloce e immediato. Lo spazio intorno a noi come un accessorio, configurabile e componibile a piacimento. La nostra presunta onnipotenza.

Non so bene che cosa fa l’Antartide tutto il tempo, che cosa pensa. Dubito che si abbassi a pensare a noi. Sarebbe come se noi passassimo del tempo a riflettere sulla polvere. E non so neanche se l’Antartide ride. Ma se per caso gli capitasse di pensare a noi, stravaccati sul divano, ingozzati di junk food davanti alla televisione, con tutti gli elettrodomestici accesi, credo che gli verrebbe da ridere. O forse gli capita davvero, e le sue risate sono fragorose e maestose: i distacchi degli iceberg.

Insomma, anche se l’Antartide non vi affascina, provate a pensarci ogni tanto. Potrebbe aiutarvi a non dare troppe cose per scontate. Vi mette davanti la foto della nostra piccolezza e, in fondo, della nostra accidentalità. E vi fa il pieno di rispetto. Forse vi fa balenare in testa che non siamo noi i grandi, anche se, nella nostra arrogante, volgare, sbadata piccolezza, a distruggere questo meraviglioso mondo ci stiamo già provando.

Un’ultima cosa. Visto che andare in Antartide non è poi così facile, ci sono anche dei libri. Uno veramente molto bello e ben fatto ce lo offrono le Edizioni del Capricorno. Si intitola Antartide, il continente blu. Ci sono molte fotografie straordinarie, e notizie curiose, oltre che informazioni rigorose.

Il Traspiratore – Numero 54

di S. Mola