Il ritorno a casa di Enrico Metz
Agosto 20, 2006 in Libri da Stefano Mola
Titolo: | Il ritorno a casa di Enrico Metz |
Autore: | Cludio Piersanti |
Casa editrice: | Feltrinelli |
Prezzo: | € 15,00 |
Pagine: | 208 |
Questo romanzo con cui Claudio Piersanti è finalista al Premio Campiello 2006 racconta della seconda vita di Enrico Metz. Il suo prima è stato nel centro del mondo del business e degli affari, consulente legale dell’ingegner Marani, coinvolto in business di portata mondiale, fino al rovinoso fallimento dal quale – anche grazie a Marani – è riuscito a uscire onorevolmente. Il suo adesso è invece il ritorno alla cittadina di provincia in cui è nato. Vorrebbe passare inosservato, occuparsi di piccole consulenza, scoprire poco per volta un vita fatta di piccoli gesti ed emozioni, quelle che ad esempio può regalare la cura di un fiore. Può questo essere possibile? Non sentiranno gli altri studi legali il timore della concorrenza? La vita politica e sociale della provincia saprà capire la vera volontà di Metz oppure sospetterà di lui come di un leone con gli occhi chiusi e ancora capace di azzannare? E al di là del contesto, come riuscirà Metz fare i conti se stesso, non avrà momenti di debolezza, non cederà alla tentazione del relitto?
Claudio Piersanti ha scritto, in una lingua precisa, lucida, mai urlata, fatta di cose minime, un romanzo importante. Dietro il tono solo apparentemente dimesso, si mostra in trasparenza una molteplicità di temi: il tempo, l’amore, la vecchiaia, il dissolvimento politico e morale della nostra società, l’esplorazione della possibilità di godere una vita fatta di cose minime.
Il presente di Metz vorrebbe essere libero, ma è pesantemente ancorato al passato. Il più grande momento di crisi è infatti rappresentato dalla morte di Marani. Metz desidera l’oblio. La sua aspirazione sarebbe di entrare in una sorta di clandestinità mentale [pag. 158]. In provincia, per una persona conosciuta qual è, è questo quasi geneticamente impossibile. Metz appartiene ancora alla categoria dei grandi uomini, quelli capaci di compiere azioni assumendosene in pieno la responsabilità. La sua situazione in provincia è simile a quella di Gulliver quando visita il paese di Lilliput. Bucci e i suoi accoliti sono come formiche, al confronto. Gli offrono una importante carica amministrativa e non riescono a capire il suo rifiuto, è come se appartenessero a un sistema di pensiero disgiunto da quello di Metz. Ma anche le formiche possono spolpare un gigante, se ferito a terra, o non così desideroso di combattere come è Metz.
Il vero confronto di Metz è con il tempo, con la vecchiaia. Non viene negata né vista con terrore. Metz riconosce alla morte una sua naturale necessità, cui occorre adeguarsi, senza cedere a un fatalismo buio e senza speranza. In generale nel libro sono i vecchi a rappresentare un esempio positivo, in primo luogo il ricordo del padre, uomo di poche parole ma capace di incarnare un riferimento, anche a distanza di tempo. Così come il vicino Diodato che passa serenamente le sue giornata in giardino a spezzettare rametti per farne concime. Implicitamente, ma sottotraccia, c’è un giudizio negativo sul presente, sul nostro oggi: nel romanzo non c’è nessuna figura di potere in carica che rivesta un ruolo positivo, nemmeno l’amico Pippo.
Più complesso è il ruolo delle donne. Al proposito, possiamo citare questo passo: Con gli uomini poteva realizzare grandi imprese eccitanti, ma prima o poi la loro compagnia gli veniva a noia. Le donne invece non lo annoiavano mai; qualcuna parlava troppo, questo sì, ma anche la più chiacchierona gli aveva regalato un po’ di allegria. In cosa consisteva il dono delle donne? Non si trattava di una semplice forma di attrazione sessuale [pag. 95]. Le donne non possono fare a meno di essere attratte da Metz. Tutte quelle che lo sfiorano scorgono in lui la scintilla dell’uomo di cultura e di potere, di quel potere ancora vivo come la brace sotto la cenere. Sentono il bisogno di prendersene cura, senza però riuscire a raggiungerlo in profondità, almeno in questa fase della sua vita. In realtà Metz forse non vuole essere capito, né, soprattutto, compatito.
Probabilmente, Metz vorrebbe potersi occupare di qualcuno, ma in relazione che permetta uno scambio. Forse è proprio questo il ruolo che nel romanzo ha Eleonora, la giovane, fragile, talentuosa, affascinante figlia dell’amico Alberto. Questo non è possibile alla moglie, troppo lontana, anche fisicamente (anche se Metz riuscirà a riportarla accanto a sé, in un ultimo e forse definitivo gesto per mantenere qualcosa di costruito nella sua vita). Nemmeno la segretaria Rita, che si occupa molto di lui ma non riesce ad affascinarlo abbastanza, pur piacendogli.
Eleonora è la donna in bocciolo. Forse Metz vede contemporaneamente in le, in un complesso e irrisolto gioco di sovrapposizioni, la donna di cui si potrebbe innamorare (se la differenza di età non lo impedisse) ma anche la ragazza cui può donare tempo ed esperienza per aiutarla a diventare donna. Come se fosse una figlia: con il non indifferente vantaggio dell’assenza di un legame biologico. Nei confronti dei suoi figli invece il rapporto è ormai negato, anche se non conflittuale: resta la profonda e non sradicabile angoscia verso la possibilità che capiti loro qualcosa. Eleonora è quindi la sintesi di tutti gli affetti potenziali, e proprio questo non può sfociare in qualcosa cui sia possibile attaccare una definizione.
Alla fine, sembra emergere con una forza dimessa eppure potente la vita, la vita vissuta istante per istante, la vita dei piccoli momenti. Non c’è niente di bucolico o di consolatorio nello scioglimento finale, eppure Piersanti sembra far baluginare una possibilità. Qualcosa che per essere conquistato richiede una grande forza, ma che forse vale la pena di essere perseguito.
di Stefano Mola