Il responsabile delle risorse umane

Novembre 15, 2004 in Libri da Stefano Mola

Titolo: Il responsabile delle risorse umane
Autore: Abraham B. Yehoshua
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: € 17.00
Pagine: 258

yehoshuaChi è il responsabile delle risorse umane? Un uomo tranquillo, alle dipendenze di una ditta che curiosamente produce pane e materiale per cancelleria. È approdato a questa posizione dopo essersi occupato di vendite. La mansione precedente lo obbligava a frequenti viaggi, cosa che aveva iniziato a minare il suo matrimonio. Nonostante il cambio di ruolo, si è separato dalla moglie, che adesso ha nei suoi confronti un atteggiamento ostile, permettendogli di vedere l’amata figlia dodicenne solo per brevissimi periodi. Nell’attesa che gli sia consegnato un nuovo appartamento, vive provvisoriamente con la madre. Le sue giornate trascorrono senza particolari sussulti. La sera spesso indugia nei pub alla ricerca di nuove conoscenze femminili. Ormai è diventato come una chiocciola, chiuso in se stesso, e la bontà e la bellezza le passano accanto come ombre [pag. 18]. Questa è almeno l’accusa della sua segretaria.

Un’esistenza ripiegata, un foglio in una busta, come tante altre. Se non che, siamo a Gerusalemme. Come purtroppo ben sappiamo da giornali e televisioni, in questa terra le banalità del quotidiano sono appoggiate precariamente su una scena che da un momento all’altro può rivelare tutto l’orrore di cui l’umanità è capace. Per il responsabile delle risorse umane, tutto questo arriva di sponda. Nel corso di un attentato avvenuto una settimana prima è deceduta, insieme ad altre vittime, una donna. Di lei non si sa nulla. Non aveva con sé documenti. Nel corso della settimana, nessun parente si è fatto vivo. Unica traccia, il cedolino dell’azienda cui appartiene il responsabile delle risorse umane. Tutto questo è ora rivelato da un settimanale popolare, che accusa l’azienda di non essersi nemmeno accorta della scomparsa di una sua dipendente.

Il proprietario dell’azienda, un uomo anziano e molto ricco, intende riparare a quella che considera una grave macchia per la buona reputazione della ditta. L’incarico di scoprire chi è quella donna, e come mai non ci si fosse accorti della sua scomparsa, è affidato al responsabile delle risorse umane. Questi reagisce dapprima con fastidio, come impigliato in una rete ingiusta, ma poco a poco sarà irretito, quasi affascinato dalla figura della donna, e sarà trascinato in una serie di vicende che lo porteranno ben al di là della semplice identificazione e della restaurazione dell’onore aziendale.

Il libro diventa come raccogliere un filo e riavvolgerlo. Il filo all’inizio sembra debolissimo: una donna priva di identità, di fronte alla cui scomparsa nessuno ha reagito. Eppure, la vita, anche in un caso come questo, riesce a lasciare dietro di sé delle tracce che nemmeno una morte assurda riesce a cancellare. La donna diventa una presenza sempre più forte, un motore immobile. E sarà l’unico personaggio di cui potremo conoscere nome e cognome: Julia Regajev, immigrata da una delle tante repubbliche ex sovietiche, ingegnere, e pur di avere un lavoro a Gerusalemme, donna delle pulizie. Di tutti gli altri personaggi sarà nota soltanto la funzione: le segretarie, il medico, il giornalista, il fotografo, il console.

Andare indietro, riavvolgendo il filo della donna, sposterà progressivamente il romanzo su un altro piano. La partenza è saldamente e crudamente legata al reale, quasi alla dolorosa e nuda cronaca (la dedica che apre il libro è per un’amica rimasta uccisa in un attentato). Ma il fatto che i personaggi non abbiano nome, ma siano identificati per il loro ruolo, fa sì che essi assumano una dimensione progressivamente quasi metafisica. Schiacciati nella loro funzione, grazie a chi non c’è più, hanno l’occasione, la possibilità, di recuperare poco alla volta la loro umanità. Un piano simbolico si accosta e alla fine prevale su quello realistico, tanto che la vicenda rimanda echi della tragedia greca. In effetti, (e questa è una delle scelte tecnicamente più felici di Yehoshua in questo libro) ci sono qui e là dei momenti in cui si manifesta un coro. In apertura di alcuni capitoli ci sono della parti in corsivo dove voci collettive (operai, ragazze vicine di casa della defunta, soldati di un posto di guardia) esprimono il loro punto di vista esterno e forzatamente incompleto sulle impressioni che i personaggi principali, sfiorandoli, lasciano in loro. Non di rado questi momenti permettono di aprire a riflessioni alte, a invocazioni.

Recuperare la propria umanità significa riappropriarsi della dimensione affettiva, ricostruire quel legame a metà tra il divino e l’umano che è l’amore (in tutte le sue declinazioni, non soltanto in quella tra uomo e donna). Non a caso, sarà proprio una delle figure potenzialmente più scorrette, quella del giornalista, a citare proprio il Simposio, il dialogo platonico in cui si ha una delle più alte poetiche analisi di questa forma di interazione tra gli esseri umani. Per una coscienza non malvagia, ma soltanto addormentata, ripiegata in se stessa come quella del responsabile delle risorse, il ritorno alla vita può solo avvenire facendosi carico in pieno e in prima persona dei legami che la vita ci mette davanti.

di Stefano Mola